(il disco si può ascoltare nella sua interezza qui: https://www.youtube.com/
Si può dire tanto di male di Fabrizio de André, a patto che siate pronti a resistere a schiere di fan acritici del cantautore genovese, roba che manco Vasco Rossi perché, oltre all'idolatria assoluta, sono spesso pure politicamente motivati; ma una cosa di cui sicuramente non lo si può accusare è di mancare in generosità. Nei suoi crediti compositivi, la quantità di canzoni firmate con altri è molto più ampia di quella di gran parte dei cantautori italiani e non. A volte si trattava di estemporaneità, ma altrettante volte De André si metteva a tavolino a lavorare con colleghi cantautori, poeti e musicisti, come i New Trolls per il loro primo album "Senza orario, senza bandiera", Francesco de Gregori per il suo "Volume VIII" o Ivano Fossati per il suo concusivo "Anime Salve".
"Rimini", uscito nel maggio del 1978, appartiene a questo secondo blocco di album, ed è la prima collaborazione di De André con il cantautore veneto Massimo Bubola, coautore di tutti i brani, alla quale seguirà nel 1981 il famoso disco detto "dell'Indiano".
Si apre con quello che è certamente il pezzo più famoso dell'album e che gli da il titolo. "Rimini" è la storia incrociata della 'figlia del droghiere' Teresa, che guardando l'Adriatico dopo un aborto medita sui viaggi dei grandi esploratori e sulla fine ingloriosa di Cristoforo Colombo, in una galleria surreale di personaggi che parlano fra loro attraverso le epoche storiche, lo spazio e il tempo. Il quadro è di una profonda malinconia e poesia, con l'umanità di De André che riesce a trasmettere fortemente l'emozione della ragazza su un tappeto musicale folk di matrice anglosassone e un uso evocativo dei cori femminili.
Analogo a "Rimini" è il terzo pezzo dell'album, "Coda di Lupo", un'altra delle canzoni del disco che ha fatto storia e che ancora si sente passare per radio. Qui invece della ragazza e di Colombo l'analogia è fra un giovane indiano americano vessato dal governo invasore degli Stati Uniti d'America e un giovane movimentista del '77 (facile analogia visto il movimento degli indiani metropolitani dell'epoca). La visione di De André è disincantata e ironica, critica del compromesso storico e del moderatismo del sindacato ("capelli corti generale" è Luciano Lama che parlò alla Sapienza venendo contestato pesantemente dagli studenti ) ma anche dei giovani inconcludenti e dalle motivazioni troppo spesso confuse ('scavo nella mia storia, ma colpisco un po' a casaccio perché non ho più memoria'). Meravigliose dal punto di vista musicale sono le percussioni di Tullio de Piscopo e la chitarra elettrica di Marco Zoccheddu.
"Volta la carta" e "Andrea" sono canzoni che tornano invece a una Italia più arcaica, la prima con una spensierata canzone d'amore che trae spunto da diverse ballate popolari italiane; la seconda, quarta traccia e terzo capolavoro del disco, è un'altra ballata dal forte sapore folk, dominata dal mandolino e da un basso liquido e profondo, che racconta in modo favolistico e struggente la fine dell'amore omosessuale di Andrea, il cui amante è rimasto ucciso durante la prima guerra mondiale. Si noti come in queste due tracce compaia l'apporto alla voce di Dori Ghezzi, la seconda moglie di De André.
Sul lato B la traccia più significativa è certamente la disperata, dolente "Sally", ennesimo ritratto deandreiano di una schiera di sconfitti e disperati, condotto da un magistrale tema di fisarmonica suonato dal maestro Mario Battaini.
Meno rilevanti sono "Avventura a Durango", cover di "Romance in Durango" di Bob Dylan; "Zirichiltaggia", altro esempio di contaminazione world music ante litteram fra uso della lingua gallurese e riferimenti musicali creoli della Louisiana (una mossa che preannuncia in un certo senso la fase finale della carriera di Faber, iniziata con il disco "Creuza de Ma" nel 1984); e "Parlando del naufragio della London Valour", in cui il cantautore recita un testo ispirato al tragico affondamento dell'omonima nave, al termine del quale il capitano responsabile si suicidò, forse metafora della fine delle speranze nate con il '68 e terminate in anni di piombo, terrorismo, compromesso storico, reazione. Così, De André chiude artisticamente il cerchio aperto nel 1973 con "Storia di un impiegato".
Conclude l'album lo struggente strumentale "Folaghe", in cui spiccano gli arrangiamenti di archi di Tony Mimms, che fu sostituito come tastierista e arrangiatore in corso d'opera da Gian Piero Reverberi, noto per il suo lavoro sia con De André ("la buona novella") sia con New Trolls, Orme, Lucio Battisti e Rondò Veneziano.
"Rimini" non è il culmine della parabola musicale di De André e neppure il suo disco migliore degli anni '70; nonostante ciò, si tratta pur sempre di un disco profondo e accorato di uno dei migliori cantautori italiani, qui sospeso fra ironico disincanto e amarezza, stati d'animo fortemente radicati nell'Italia di fine anni settanta. È così un disco significativo per la sua epoca storica e che comunque ci regala almeno tre capolavori che irrobustiscono il folto corpus del cantautore genovese ("Rimini", "Coda di Lupo" e "Andrea").
- Prog Fox
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