"Mezzanine", terzo lavoro degli inglesi Massive Attack, esce il 20 aprile 1998, è non solo l'album più venduto della storia del gruppo ma anche quello che molti considerano il loro capolavoro assoluto. Sarà davvero così?
Una
colata di pece nera, un pulsare oscuro, chele di insetti sulla pelle.
Ronzii nervosi, intermittenze, specchi rotti, battiti e silenzi
spettrali.
I "Massive Attack", dopo il crepuscolo urbano di
"Protection", si mettono addosso la notte e negli 11 brani del
capolavoro "Mezzanine"tracciano i solchi di un'era e di uno stile.
L'intro di "Angel" è paurosamente perfetta: un serpente che dal nulla spunta ed avvolge stringendo la presa. Ecco le chitarre, pazzesche ed inattese: novità quanto mai bene accolta e benvenuta.
Un elettrocardiogramma memorabile, l'adrenalina sale, il climax è
raggiunto magistralmente. Il fiato dopo questa scossa è già corto,
l'animo pulsa.
Si capisce che siamo all'inizio di un viaggio memorabile.
"Risingson" è una seconda botta, che parte da territori più consueti
per il gruppo di Bristol su cui si innescano sapientemente anche le
nuove dinamiche stilistiche e di inatteso sapore rock.
Poi le
parole vengon meno: "Teardrop" è ineffabile, clamorosa e necessaria. La
voce di Liz Frazer è come un cristallo lustrato e messo in bacheca, su
cui si proietta una luce magnifica e chiara.
L'effetto è di
straniante bellezza: la nenia ci porta puro velluto e coccole scure,
regala un rassicurante abbraccio e apre insieme una dolorosa ferita.
Le due parti del cuore unite da una linea sottile: "Inertia Creeps"
continua poi a disegnare questa tela, con vernice spessa e tenue
insieme.
Un attimo per tirare il fiato con "Exchange", preziosa
tessitura dal sapore retrò e dalle trame raffinate, e subito "Dissolved
Girl" ci accoglie suadente e materica.
Un canto che parte apparentemente disteso ma appoggiato, in contrapposizione, ad una melodia inquieta, nervosa e potente.
Un canto che ad un certo punto si interrompe e lascia spazio al
ruggito, alla tempesta: lo specchio si frantuma in pezzi, tutti
taglienti ed affilati. "Need a little love /to ease the pain": la
richiesta verrà esaudita? Intanto le chitarre ed il vento si alzano, la
quiete viene rotta e recuperata solo (e forse) nella mirabile coda.
"Man Next Door" (riecco Horace Andy) regala un altro inquietante
ritratto metropolitano, fatto di presenze flebili e morbose mentre
(riecco Liz Frazer)
"Black Milk" tiene assolutamente fede al suo titolo, portando con sè liquide dolcezze ed oscurità scivolose.
Ossessiva e martellante anche la title track, puro trip danzante che ci
conduce al sancta sanctorum conclusivo del disco: gli 8 minuti di
"Group Four".
Ancora la Frazer a condurre il gioco ma il campo viene
delimitato da Del Naja con pazzesco eclettismo: sample che pescano dai
più intensi Depeche Mode, loop sospesi, tensione che cresce, corrente in
piena che esplode tribale ed assolutamente incontrollata nel finale.
Si chiude il cerchio con "Exchange (reprise)": il giradischi posa la
testina sul piatto, Horace Andy declama le formule magiche, il cielo
notturno si apre.
Alla fine ci sono le stelle oltre le nuvole, c'e' la luna a dirci
buonanotte ed a farci appoggiare stremati la testa sul cuscino.
- il Compagno Folagra
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