I Japan di David Sylvian esordiscono il 7 aprile del 1978 con "Adolescent Sex". Nell'era del punk e della nascente new wave c'è spazio anche per gli adoratori del Bowie glam: porteranno alla nascita del movimento new romantic.
I Japan capitanati da David Sylvian sono un gruppo di culto per eccellenza, in parte per via del loro contributo nel forgiare il suono del cosiddetto “New Romantic” (la branca più orecchiabile della new wave britannica), in parte per via del songwriting straordinario del loro leader. Capace di rielaborare le influenze di illustri pionieri come Eno, Bowie e Roxy Music nel contesto nuovo e fresco di una band di giovani londinesi proletari, Sylvian si reincarnerà poi in un cantautore sublime e geniale.
Si potrebbe avere l’ardire di tracciare un parallelo tra l’inglese e i suoi Japan con David Byrne e le sue Teste Parlanti, con i Japan fratelli minori (ma neppure troppo) dei newyorkesi: i binari percorsi durante le rispettive sperimentazioni rimarranno sempre piuttosto vicini.
Quello di cui stiamo scrivendo ora, “Adolescent sex”, è il disco d’esordio dei Japan, all’epoca ricevuto freddamente per via delle sue atmosfere glam, detestate dalla critica dell’epoca, che stravedeva per il punk più propriamente detto. Le vendite di “Adolescent sex” rimarranno bassine in madrepatria, pur raggiungendo discreti risultati in altre nazioni tra cui, forse non sorprendentemente, il Giappone.
Ciò che cattura subito l’attenzione, anche ad un orecchio non troppo concentrato, è l’urgenza espressa dal quintetto: le canzoni vibrano e si dimenano, percorse dal pulsare sincopato di linee di basso nervose (per quanto catchy), solleticate dalle melodie di un sintetizzatore ansioso di far sentire la propria voce e di una chitarra che sembra aver assimilato la lezione dei Talking Heads anni ’80 prima che queste vengano effettivamente impartite.
E, incredibile a dirsi, l’orecchio poco attento di cui sopra potrebbe chiedersi se sta ascoltando un disco che ha alle spalle 40 primavere o l’ultimo singolo dei Franz Ferdinand (solo l’assenza della voce baritonale di Alex Kapranos ci toglie il dubbio: “The Unconventional” e “Lovers on Main Street” sono davvero canzoni dei Japan, e non della band scozzese).
Le zampate punk non mancano, a partire da “Don’t rain on my parade” per arrivare alla title track e a “Communist China”, mentre se siete amanti delle lunghe code strumentali (se mi state leggendo, ciò è probabile) e vi piacciono i ritmi ballabili, “Suburban love” è proprio la canzone che dovreste ascoltare.
Inutile dire che c’è anche spazio per del white funk con tutti i crismi (“Wish you were black”, “Stateline”).
Il post-punk è passato anche da qui, e ci ha lasciato una pietra miliare: non troverete molti dischi con una simile miscela di songwriting di classe e rabbia post-adolescenziale, così gradevoli all’ascolto e allo stesso tempo così sinceri e ben invecchiati.
- Spartaco Ughi
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