venerdì 13 aprile 2018

Gomez: "Bring it on" (1998)


Il 13 aprile del 1998 usciva "Bring It On" dei Gomez, album di debutto della band di Southport, nel Merseyside. I ragazzi inglesi ebbero un enorme successo di pubblico e critica, sbaragliando al Mercury Music Prize dischi quali "Urban Hymns" dei Verve, "This is hardcore" dei Pulp e "Mezzanine" dei Massive Attack.




Vogliatevi bene, in questi giorni confusi.
Ascoltate, fatevi un favore, "Bring It On" dei Gomez (1998). Fatevi subito graffiare la pelle dalla voce roca di Ben Ottewell, che apre con "Get Miles" e con il tribale sottofondo ritmico lo scrigno di un disco che si percepisce subito come senza tempo.
Senza tempo, certo, ma con molti luoghi nella pancia.

Perchè - già, chiedamocelo - dove siamo esattamente?
In un fumoso e alcolico club in lousiana?
In un sudato pub della periferia inglese?
Nella polvere e bagnati di tequila al confine messicano?

Molteplici sono le iconografie che vengono richiamate da questo gruppo di ventenni, colti e istintivamente talentuosi, che si sono abbeverati a diverse e multiple fonti.

Detto della muscolosa "Get Miles", singolo assolutamente perfetto, ecco che le coordinate cambiano immediamente con "Whippin Piccadilly": più morbida e confidenziale, giovane e liquida, ugualmente trascinante nell'ascolto.

"Make No Sound" è un altro pezzo forte del lotto: eclettica nell'unire ruvidezze vocali e tenerezze melodiche, un saliscendi prezioso e riuscito.

E poi arriva il botto, il botto che porta via il cuore e la testa: la sequenza "78 Stone Wobble"/"Tijuana Lady" è la chiave di volta dell'intero disco.
La coltre di fumo si fa densa e la temperatura sale, la capacità dei Gomez di attingere ad immaginari cinematografici e letterari è sovrana.
Steve McQueen, John Fante, la frontiera. Stupefacente originalità nell'ispirazione e nell'esecuzione, i brani sono compiuti e preziosi.

Non si scende - comunque - di qualità e di intensità neppure nella seconda parte dell'album: "Here Comes The Breeze"/"Love is Better Than a Warm Trombone"/"Get Myself Arrested" sono immersioni nell'indie più particolare e raffinato, composito nelle trame e coinvolgente.
Si tratta di veri e propri inni, cori e handclapping si susseguono e danno risalto alle notevoli capacità della band di catturare ispirazione da moltissimi stili e tecniche.
"Free To Run" merita un discorso a parte, dato che con il bridge finale i nostri sigillano il loro capolavoro con un nastro dorato. Le note che
chiudono la canzone, uscite forse da un sogno in cui Paul McCartney incontra i Creedence e decide di scrivere con loro giusto due battute sul pianoforte, sono puro vento nei capelli, puro soffio di primavera ed estasi: per due minuti si è catapultati in uno dei migliori mondi possibili.
Si chiude con "Bubble Gum Years" e con la tosta "Rie's Wagon": i Gomez finiscono di mostare il campionario e scoccano altre frecce presenti nel loro arco, prima di chiudere il cerchio con la citazione di "The Comeback" che riporta la Cadillac in garage e ci lascia però vogliosi di riaccenderla presto, molto presto.

Per un altro giro nel deserto.
Oppure per andare al pub. Oppure per raggiungere quel campo di calcio scalcagnato nella periferia di Manchester.
Le strade sono tante, ragazzi, perchè non percorrerle tutte?

- il Compagno Folagra

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