Arriva per quasi tutte le band (forse in generale per tanti artisti di tanti campi) il momento in cui, per usare un linguaggio televisivo, si "salta lo squalo", ovvero si attraversa quella linea dopo la quale ogni nuovo disco o progetto diventa una lotta per mantenersi a galla e non sprofondare nella mediocrità o nell'irrilevanza, per non dire peggio.
Conosciamo tutti un artista o un gruppo che abbiamo amato e che ci
appare spompo e imbolsito; ogni volta che esce un loro album lo
compriamo o ascoltiamo col cuore pesante e ci aggrappiamo a ogni barlume
per urlare al "comeback" o al capolavoro o quantomeno per poter dire
che è un buon disco di cui essere contenti.
Per i Genesis, gloriosa band del prog inglese, il momento in cui si salta lo squalo è "And then there were three" (1978), disco il cui titolo si riferisce alla perdita di un altro membro del quintetto storico dopo quella, avvenuta nel 1974, del cantante Peter Gabriel. Questa volta si tratta del chitarrista Steve Hackett.
Per la verità Hackett non era un membro fondatore della band, essendo salito a bordo dopo "Trespass" (1970), secondo album del gruppo, per sostituire il chitarrista Anthony Phillips. E neanche il batterista Phil Collins lo era. Ma la formazione più famosa del gruppo era quella composta proprio da Hackett e Collins con il terzetto di fondatori Peter Gabriel, Mike Rutherford (basso) e Tony Banks (tastiere).
Con questo quintetto l'età d'oro dei Genesis era giunta al culmine con "Selling England by the Pound" nel 1973; il successivo "The lamb lies down on Broadway", album doppio del 1974, aveva visto crescenti conflitti fra Gabriel e i suoi compagni, finché il cantante non aveva deciso di dedicarsi alla carriera solista. I due dischi della formazione a quattro, "A trick of the tail" e "Wind and wuthering", si erano mantenuti su un buonissimo livello (pure se, va detto, senza raggiungere complessivamente i capolavori dell'era Gabriel).
Ma Hackett, frustrato da quelle che, a torto o ragione, considerava limitazioni al suo lavoro e alle sue composizioni da parte degli altri, e stanco dei continui tour, decise che preferiva dedicarsi a una semioscura carriera da solista piuttosto che sottostare ancora ai diktat dei compagni; e tolse le tende nell'agosto del 1977.
Dopo l'addio di Hackett, i tre musicisti restanti si recarono in studio per incidere il nuovo "And then there were three". Primo errore fu quello di non cercare un nuovo chitarrista. In realtà fecero di peggio: assoldarono per i tour l'eccellente chitarrista fusion americano Daryl Stuermer, ma lasciarono che il bassista Mike Rutherford si occupasse delle parti di chitarra in studio. Le capacità e la fantasia alla chitarra di Rutherford risultano davvero modeste, vieppiù imbarazzanti in quelle poche occasioni in cui si cimenta in assoli scolastici e didascalici.
Secondo errore, i Genesis fanno per la prima volta in carriera scelte deliberatamente commerciali: vista la crescita delle vendite dei loro dischi negli Stati Uniti nel biennio precedente, frutto anche del fatto che, dopo molti anni, gli americani sono interessati a forme autoctone di rock progressivo grazie a Rush, Kansas e Styx, la casa discografica preme per un singolo di successo che li renda definitivamente delle star di livello e non solo una cult band proveniente da oltreoceano. La scelta (riuscita) del singolo di successo cade sulla zuccherosa, tremenda "Follow you, follow me". Ok, certamente non un brano orribile preso in sé e per sé, ma quello che rovinerà la carriera dei Genesis come gruppo e di Phil Collins come artista solista, risultando singolo stravenduto e dando al gruppo l'assaggio di un successo mai conosciuto prima con le proprie opere più serie e mature, alimentando un impigrimento creativo e una fame di successo assolutamente deleteri.
Come "Follow you, follow me", il resto del disco ondeggia fra l'inutile ("Ballad of Big", "Many too many") e il dignitoso ("Undertow", "Scenes from a night's dream"); talvolta, data una lunghezza dei brani eccessiva rispetto al loro contenuto, i due fenomeni si verificano contemporaneamente ("Deep in the motherlode", "The lady lies").
Due sole sono comunque le vere cadute di tono: il ritornello patetico di "Snowbound" e l'impacciato assolo di chitarra di "Burning Rope" (che rovina un brano potenzialmente interessante). Come controparte, le canzoni migliori (come l'iniziale "Down and Out" col suo incedere ritmico sghembo) non arrivano mai nemmeno vicine al livello medio di "A trick of the tail" e "Wind and wuthering".
La produzione pure risulta mediocre: la batteria di Collins è troppo bassa nel missaggio; le chitarre di Rutherford sono talvolta assenti e spesso arrangiate in modo banale; Banks ha perso gran parte dei colori della sua tavolozza sonora di tastiere, che si è quasi unicamente ridotta allo stesso suono di sintetizzatore, cosa peggiorata dalla tendenza della produzione a coprire tutto il resto con esso. Ma spiattellare tastiere a tutto volume su brani mediocri non rende certo "And then there were three" un disco di buon progressive rock.
Nel complesso, quindi, un album deludente; certamente non orribile, ma che non risulta particolarmente interessante per chi amasse il prog rock degli LP precedenti, né presenta brani orecchiabili e memorabili per chi cercasse un bel disco di rock classico - cosa che questo certo non è.
Il percorso dei Genesis, tra qualche incertezza e qualche sprazzo di genio ancora da venire, è purtroppo segnato dal successo di "Follow you, follow me". Diverranno una band di successo per i baby boomers che stanno invecchiando e che quindi, di fatto, vogliono solo avere la loro vecchia musica servita in un formato più adatto alla loro sclerotizzazione e normalizzazione (come era già accaduto qualche anno prima negli Stati Uniti con gli ex-eroi dell'era hippie).
Molto triste davvero.
- Prog Fox
(il disco completo si può trovare qui: https://www.youtube.com/watch?v=umwpI0JKwt4)
Per i Genesis, gloriosa band del prog inglese, il momento in cui si salta lo squalo è "And then there were three" (1978), disco il cui titolo si riferisce alla perdita di un altro membro del quintetto storico dopo quella, avvenuta nel 1974, del cantante Peter Gabriel. Questa volta si tratta del chitarrista Steve Hackett.
Per la verità Hackett non era un membro fondatore della band, essendo salito a bordo dopo "Trespass" (1970), secondo album del gruppo, per sostituire il chitarrista Anthony Phillips. E neanche il batterista Phil Collins lo era. Ma la formazione più famosa del gruppo era quella composta proprio da Hackett e Collins con il terzetto di fondatori Peter Gabriel, Mike Rutherford (basso) e Tony Banks (tastiere).
Con questo quintetto l'età d'oro dei Genesis era giunta al culmine con "Selling England by the Pound" nel 1973; il successivo "The lamb lies down on Broadway", album doppio del 1974, aveva visto crescenti conflitti fra Gabriel e i suoi compagni, finché il cantante non aveva deciso di dedicarsi alla carriera solista. I due dischi della formazione a quattro, "A trick of the tail" e "Wind and wuthering", si erano mantenuti su un buonissimo livello (pure se, va detto, senza raggiungere complessivamente i capolavori dell'era Gabriel).
Ma Hackett, frustrato da quelle che, a torto o ragione, considerava limitazioni al suo lavoro e alle sue composizioni da parte degli altri, e stanco dei continui tour, decise che preferiva dedicarsi a una semioscura carriera da solista piuttosto che sottostare ancora ai diktat dei compagni; e tolse le tende nell'agosto del 1977.
Dopo l'addio di Hackett, i tre musicisti restanti si recarono in studio per incidere il nuovo "And then there were three". Primo errore fu quello di non cercare un nuovo chitarrista. In realtà fecero di peggio: assoldarono per i tour l'eccellente chitarrista fusion americano Daryl Stuermer, ma lasciarono che il bassista Mike Rutherford si occupasse delle parti di chitarra in studio. Le capacità e la fantasia alla chitarra di Rutherford risultano davvero modeste, vieppiù imbarazzanti in quelle poche occasioni in cui si cimenta in assoli scolastici e didascalici.
Secondo errore, i Genesis fanno per la prima volta in carriera scelte deliberatamente commerciali: vista la crescita delle vendite dei loro dischi negli Stati Uniti nel biennio precedente, frutto anche del fatto che, dopo molti anni, gli americani sono interessati a forme autoctone di rock progressivo grazie a Rush, Kansas e Styx, la casa discografica preme per un singolo di successo che li renda definitivamente delle star di livello e non solo una cult band proveniente da oltreoceano. La scelta (riuscita) del singolo di successo cade sulla zuccherosa, tremenda "Follow you, follow me". Ok, certamente non un brano orribile preso in sé e per sé, ma quello che rovinerà la carriera dei Genesis come gruppo e di Phil Collins come artista solista, risultando singolo stravenduto e dando al gruppo l'assaggio di un successo mai conosciuto prima con le proprie opere più serie e mature, alimentando un impigrimento creativo e una fame di successo assolutamente deleteri.
Come "Follow you, follow me", il resto del disco ondeggia fra l'inutile ("Ballad of Big", "Many too many") e il dignitoso ("Undertow", "Scenes from a night's dream"); talvolta, data una lunghezza dei brani eccessiva rispetto al loro contenuto, i due fenomeni si verificano contemporaneamente ("Deep in the motherlode", "The lady lies").
Due sole sono comunque le vere cadute di tono: il ritornello patetico di "Snowbound" e l'impacciato assolo di chitarra di "Burning Rope" (che rovina un brano potenzialmente interessante). Come controparte, le canzoni migliori (come l'iniziale "Down and Out" col suo incedere ritmico sghembo) non arrivano mai nemmeno vicine al livello medio di "A trick of the tail" e "Wind and wuthering".
La produzione pure risulta mediocre: la batteria di Collins è troppo bassa nel missaggio; le chitarre di Rutherford sono talvolta assenti e spesso arrangiate in modo banale; Banks ha perso gran parte dei colori della sua tavolozza sonora di tastiere, che si è quasi unicamente ridotta allo stesso suono di sintetizzatore, cosa peggiorata dalla tendenza della produzione a coprire tutto il resto con esso. Ma spiattellare tastiere a tutto volume su brani mediocri non rende certo "And then there were three" un disco di buon progressive rock.
Nel complesso, quindi, un album deludente; certamente non orribile, ma che non risulta particolarmente interessante per chi amasse il prog rock degli LP precedenti, né presenta brani orecchiabili e memorabili per chi cercasse un bel disco di rock classico - cosa che questo certo non è.
Il percorso dei Genesis, tra qualche incertezza e qualche sprazzo di genio ancora da venire, è purtroppo segnato dal successo di "Follow you, follow me". Diverranno una band di successo per i baby boomers che stanno invecchiando e che quindi, di fatto, vogliono solo avere la loro vecchia musica servita in un formato più adatto alla loro sclerotizzazione e normalizzazione (come era già accaduto qualche anno prima negli Stati Uniti con gli ex-eroi dell'era hippie).
Molto triste davvero.
- Prog Fox
(il disco completo si può trovare qui: https://www.youtube.com/watch?v=umwpI0JKwt4)
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