sabato 31 marzo 2018

Grateful Dead: "Anthem of the Sun" (1968)

Dopo i risultati insoddisfacenti del primo disco, i Grateful Dead decisero di inciderne uno come pareva a loro. Ci riuscirono, mettendoci una eternità e contraendo un debito pazzesco con la casa discografica, vivendo in miseria per anni per poterlo ripagare. Il risultato però ne valse la pena: "Anthem of the Sun", assieme al successivo "Aoxomoxoa", rimane uno dei grandi capolavori dell'epoca psichedelica e uno dei due album maggiori della formazione di San Francisco. 



(potete trovare l'LP completo qui:https://www.youtube.com/watch?v=lOvLziEkQdo)

Con "Anthem of the Sun" i Grateful Dead arrivano al loro secondo album, che rimane senza dubbio fra i più interessanti esempi di rock psichedelico dell'epoca e li proietta nel cosmo mitologico delle maggiori band americane del tempo.

Anche se Joe Smith, allora Presidente della Warner Bros, lo definì "the most unreasonable project with which we have ever involved ourselves". C'è anche da dire che era solo il 1968 e si realizzavano LP da meno di vent'anni.

Concepito come un collage di brani costituiti di sezioni registrate dal vivo e sezioni registrate in studio, soffre chiaramente dei problemi tecnologici dell'epoca (spesso la qualità audio cala e cresce all'interno dello stesso brano per l'alternarsi di parti live e studio!), ma è un grande esempio di ingegnosità negli anni in cui cose di questo tipo non si potevano realizzare al computer ma andavano missate a mano con metri di nastro e sistemi analogici.

Il disco si apre con il collage di "That's it for the other one", che mescola quattro sezioni in meno di otto minuti: con grande varietà dopo una introduzione di pop psichedelico si passa a un interludio improvvisato dal vivo che poi si tramuta in un rock sincopato e aggressivo prima di riprendere il tema iniziale, che poi si liquefa in una magmatica jam dal vivo per poi concludere con un finale esplosivo imbevuto dei trattamenti elettronici del nuovo collaboratore Tom Constanten.

Splendida l'introduzione chitarristica di "New Potato Caboose", brano composto dal bassista Phil Lesh che si evolve verso entusiasmanti territori di country folk psichedelico. Siamo in presenza di un altro capolvoro: l'idea di avere brani del genere registrati con tecnologie anche solo di pochi anni posteriori fa venire la pelle d'oca - questi sono tra i vertici del rock psichedelico tutto, del suo versante più sognante, onirico e avventuroso.

"Born crossed-eye" è la violenta perla del chitarrista Bob Weir (il gemello musicale del più noto Jerry Garcia) e uno dei momenti più intensi dell'album, tra armonie vocali incredibile, organo di Ron McKernan, una tromba che appare dal nulla, suonata dal bassista Phil Lesh, e la perfetta sezione percussiva frutto del lavoro di Bill Kreutzmann e di un altro nuovo arrivato, Mickey Hart.

Sul lato B, le jam "Alligator" e "Caution" solcano territori già scorti nel primo lato, ma privi del potere unificante delle melodie che stanno alla base delle improvvisazioni in "That's it for the other one" e "New Potato Caboose"; pertanto, per quanto interessanti, mancano del fascino e della brillantezza delle jam del lato A.

"Anthem of the Sun" ha comunque solo un vero difetto: la qualità audio è tremenda, deteriorate com'erano le mille e mille sovraincisioni realizzate tra live e studio. Per il resto, è uno dei prodotti più sublimi del rock psichedelico tutto e va pertanto trattato con grande venerazione. Se non lo capite, beh, allora pace, fratelli!

- Prog Fox

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