venerdì 13 gennaio 2017

Pain of Salvation: "In the passing light of day" (2017)

"In the passing light of day", decimo album in studio degli svedesi Pain of Salvation, esce il 13 gennaio 2017 e la domanda è sempre: Daniel Gildenlow è ancora fuori di testa? E sarà in grado di fare mai più della buona musica? Alla seconda domanda rispondiamo nì, alla prima rispondiamo decisamente di sì.




(Il disco completo si può sentire qui:http://www.deezer.com/album/15047003)

Fra tutte le cose che potevano succedere a Daniel Gildenlow, deus ex machina degli svedesi Pain of Salvation, la peggiore che potesse succedere era rischiare di morire. Intendiamoci, sarebbe una brutta esperienza da sconsigliare a chiunque, ma il nostro Daniel già era un tipo piuttosto incline alla drammatizzazione delle proprie vicende personali, e di questa ulteriore spinta verso il titanismo pessimista autocelebrativo non aveva bisogno.

Ma facciamo un passo indietro: dopo il successo dei primi cinque dischi della band, tra il 1997 di "Entropia" e il 2004 di "Be", i Pain of Salvation cominciano a perdere i pezzi (è vero, sul primo album c'era Daniel Magdic come seconda chitarra, ma Johann Hallgren è stato presenza fondamentale come chitarra e voce in tutti i dischi successivi). Perdono i pezzi secondo quella che è la solita dinamica di tante rockband: un autore ingombrante inizia ad appropriarsi di ogni spazio, soffocando i propri compagni che lo abbandonano, mentre lui si espande sempre di più fino a dominare completamente band, processo creativo, album, e finendo quindi per castrarsi da solo. Dopo "Be" il bassista, il fratello Krisoffer, scappa in Olanda con la nuova moglie; dopo "Scarsick" (2007), controverso ma tutt'altro che disprezzabile disco del 2007, se ne vanno tutti gli altri, uno dopo l'altro: prima il batterista Johann Langell, poi dopo la deludente esperienza dei due "Road Salt" (2010 e 2011), in cui qualche pezzo buono o anche ottimo fa capolino in una marea di pezzi di vintage rock anni settanta caratterizzato da una chiara mancanza di ispirazione, fuggono anche Hallgren e il tastierista Fredrik Hermansson. Daniel rimane così unico padrone del gruppo.

Nel tentativo di bilanciare questa situazione, Gildenlow affianca a se stesso e al nuovo batterista francese, l'eccellente Leo Margarit, il bassista Gustaf Hielm, che aveva suonato con lui molti anni prima in precedenti progetti, e soprattutto il chitarrista islandese Ragnar Solberg Rafnsson detto Zollberg, che sarà il suo nuovo partner compositivo. Dopo l'infezione che nel 2013 lo fa quasi morire, Gildenlow decide così di scrivere un nuovo concept che tratta - pensate un po' - della morte di un uomo (o questo comunque è ciò che si capisce cercando di farsi un'idea dal booklet e soprattutto dal pezzo finale). Tutto questo caos in qualche modo ha riportato la band ai fasti originari, dopo il decennio sprecato che è passato tra "Scarsick" e questo nuovo cd?

Beh, la risposta è sì e no. Sì, nel senso che le idee e la produzione che sono presenti in questo album sono di ben altro livello rispetto alla aridità artistica vissuta in quel periodo. No, nel senso che ancora Gildenlow sembra aver perso il dono di giustapporre le proprie idee in maniera interessante, preferendo invece declinarle all'infinito nell'ossessione per i groove che aveva cominciato a colpirlo ai tempi di "Scarsick". E quindi il disco, per quanto pienamente sufficiente, non è comunque niente più di questo: una prova onesta che ci dice che la band è viva, determinata a ritrovare il posto nel panorama progressive metal, ma comunque al massimo convalescente, e che il giudizio su una piena guarigione artistica va rimandato al prossimo album.

L'album si apre con "On a tuesday" (https://www.youtube.com/watch?v=oEk-csUrQp8), ed è subito uno schiaffo. Quelle chitarre compresse all'inizio non fanno presagire nulla di buono: poi, per fortuna, la canzone regge bene il peso dei suoi dieci minuti, certamente grazie al drumming eccellente di Margarit, ma anche alla capacità di spaziare fra atmosfere aggressive e violente e altre più oniriche e rallentate.

"Tongue of God" ci fa un po' sbadigliare prima di arrivare a "Meaningless" (https://www.youtube.com/watch?v=MreXYqelGPM), che non sarebbe manco brutta ma neanche eccezionale, ed è la riscrittura di un pezzo dei Sign, la precedente band di Zollberg, che infatti ha un ruolo preminente nel brano. "Silent Gold" (insignificante ballad pianistica) e "Full throttle tribe" (nove minuti) sono altri due pezzi senza infamia e senza lode. "Reasons" è un esempio in negativo dell'atteggiamento del gruppo: si apre con un drumming sensazionale, un pattern ritmico frammentato, cori alla Gentle Giant, ci aspettiamo chissà cosa e invece praticamente si ripete questo modulo all'infinito per quasi cinque minuti. Da far cascare le braccia dallo sconforto.

Ci si chiede se ci fosse bisogno di tutti questi riempitivi in un album che dura 1 ora e 11 minuti, ci si chiede perché non ci sia nessuno che riesca a porre un freno alla logorrea insensata di Gildenlow, e si va avanti verso il quartetto di brani finale.

"Angel of Broken Things" ha come punto più alto il fatto che abbia un assolo, qualcosa che non compare in nessun altro pezzo di questo disco infinito. "The Taming of the Beast" è accettabile, un po' alternative rock e un po' metal. "If this is the end" (https://www.youtube.com/watch?v=a6b0WWNTIdw) e "The Passing Light of Day" (https://www.youtube.com/watch?v=YLYeJcuPj68) chiudono l'album con tonalità cupe e dimesse, e sono tra i pezzi più interessanti del disco. In particolare la canzone finale riesce a giustificare i suoi 15 minuti più di quanto non facciano tre quarti dell'album, guidata com'è da un ritornello deprimente, orecchiabile e geniale e persino da una non troppo mimetizzata ripresa di "Ending Theme" da "Remedy Lane" (disco del 2002). Questi due pezzi raccontano gli ultimi momenti della vita del protagonista, con "The Passing Light of Day" in particolare focalizzato sul rapporto fra il protagonista e la compagna che lo veglia sul letto d'ospedale.

E quindi il decennio discutibile dei Pain of Salvation e di Daniel Gildenlow si conclude senza darci certezze positive sul futuro artistico della band, anche se sprazzi di buone idee ci sono. Toccherà andare a vedere come funzionano le nuove canzoni dal vivo, e sperare che la band riesca a capire cosa abbia funzionato e cosa no in questo disco e trarne lezioni per il futuro.

- Prog Fox

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