venerdì 13 gennaio 2017

Baustelle: "l'amore e la violenza" (2017)

Il tredici gennaio quest'anno è stato piuttosto pieno di uscite: stavolta si parla di un disco italiano, più specificamente dei Baustelle, che ammettono finalmente di volere essere pop e pure manco troppo sofisticato.




(L'album completo si può ascoltare qui:http://www.deezer.com/album/15048169)

Strano destino, quello dei Baustelle: prima 'eroi' postmoderni dell'indie pop italiano, poi assurti all'assurda fama di gruppo migliore d'Italia proprio quando la loro vena compositiva si inaridiva nel sopravvalutato "Amen", votato disco dell'anno del 2008 da tanta critica italiana, che mai come in questo caso arrivò a certificare il successo di un fenomeno dopo che aveva dato il proprio meglio (ovvero la doppietta "la moda del lento" del 2003 e "la malavita" del 2005). "Amen" non era male, ma solo a chi non voleva ascoltare poteva sfuggire il fatto che diverse sequenze armoniche fossero sollevate di peso dal disco precedente. Ancora più stupefacenti gli onori tributati a "i mistici dell'occidente", che a fronte di alcune buone composizioni vedeva una vena compositiva rapidamente in via di inaridimento e arrangiamenti insoddisfacenti, ma soprattutto al più che mediocre "fantasma", appesantito da pompose parti orchestrali che non potevano oscurarne il vuoto pneumatico di idee.

Francesco Bianconi, pur inserito nel contesto di una band, ha dimostrato di avere ambizioni da guru alla Battiato in sedicesimo, nonostante la dichiarata passione per De Andrè e gli chansonnier francesi; ma evidentemente il gruppo deve avere capito che si era infilato da quasi un decennio in un vicolo cieco e sempre più stretto. Arriva quindi come una boccata d'aria fresca questo "L'amore e la violenza", definito dagli stessi autori un disco 'oscenamente pop'. La presunta oscenità ovviamente non esiste: semplicemente, Bianconi Bastreghi e Brasini si rendono conto, o confessano, forse perché hanno annusato il vento e compreso che hanno finalmente scavallato dal lato degli 'idoli' a quello dei 'dinosauri', che hanno sempre e solo fatto e voluto fare del pop, la cui linea guida più chiara è il synth pop anni '80 di Battiato in primis, zeppo di citazioni come un numero di Dylan Dog, e che esse possono essere solo una cifra stilistica e un divertissement, non certo un segno di cultura e tantomeno di intelligenza.

E allora com'è questo disco? Oscenamente pop, certo, però cristallinamente perfetto, almeno secondo i dettami danteschi dell'adeguatio verbi rei. Nel realizzare il disco i Baustelle si sono concetrati solo su tre aspetti: ritornelli bubblegum, suoni analogici da primi anni '80, e testi citazionisti profondi quanto le loro melodie. "Il vangelo di Giovanni" è chiaramente il manifesto dell'album, e sembra una outtake del Battiato di "Orizzonti perduti" o "Mondi lontanissimi"; "Amanda Lear", singolo di lancio, è una canzone d'amore alla Soft Cell, e per coloro che accusano la band di autocitarsi (in effetti è vero: vedere "EN" e "la moda del lento", del 2003), ricordiamo di nuovo che le sequenze armoniche di Bianconi sono sempre le stesse da quindici anni, con la differenza che qui si fa un rip-off di "Common People" dei Pulp nel bridge; "Betty" ha un ritornello meraviglioso, degno delle migliori sigle dei cartoni animati degli anni ottanta; "Eurofestival" mescola in un solo brano tutto quello che si poteva trovare nella hit parade italiana attorno al 1984 (compresi ovviamente Battiato e autocitazioni dai primi album); "Basso e batteria" ruba l'introduzione a "Sandokan" degli Oliver Onions; "La musica sinfonica" è un plagio di un classicone europop italiano di fine anni settanta; "la vita" è un altro plagio di un paio di pezzi famosi, tra cui noi ci sentiamo "love thy will be done" di Martika; "L'era dell'acquario" potrebbe essere un successo della Carrà; "ragazzina", dedicato da Bianconi alla figlia, il pezzo più serio del disco, è anche il più insostenibile.

Nell'ambito del pop italiano, i Baustelle mostrano di dare ancora diverse piste a tutti i presunti eredi, dai Cani agli orrendi Thegiornalisti, realizzando un album che non verrà compreso da nessuno, né dai giovani che sono cresciuti con le loro canzoni e che li rinnegheranno, né dai critici che scriveranno temini scolastici per spiegare le qualità di un disco che, ammesso che lo abbiano sentito dall'inizio alla fine, dimenticheranno entro l'estate.

- Prog Fox

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