sabato 10 dicembre 2016

Queen: "A day at the races" (1976)


"A night at the opera" aveva reso i Queen delle superstar del rock inglese. "A day at the races" aveva l'arduo compito di farli rimanere tali. Obiettivo perfettamente riuscito, grazie a un disco complesso e articolato che andava del tutto in controtendenza ai tempi punk che erano da poco iniziati.




Dopo il successo incredibile di "A night at the opera" (1975), e soprattutto del singolo principale tratto dall'album, "Bohemian Rhapsody", i Queen si trovano proiettati fra le superstar degli anni settanta e devono replicare con un adeguato seguito al disco. Nasce così un secondo album il cui titolo è tratto da un film dei fratelli Marx, "A day at the races" (1976), altro grande successo di pubblico e, a nostro parere, uno dei migliori album della band (seppur non in quella fascia iperborea di capolavori che comprende il più illustre e sunnominato predecessore).

La prima canzone dell'LP è "Tie your mother down", un hard rock sarcastico e senza compromessi ispirato palesemente a "My guitar wants to kill your mama" di Zappa (uno degli eroi del complesso), che racconta la storia di un capellone il cui rapporto con una ragazza è osteggiato dalla conservatrice famiglia di lei. L'umore cambia completamente con l'arrivo del primo diamante del disco, "You take my breath away" (https://www.youtube.com/watch?v=v_wLNqUz7pM), una ballata pianistica di Mercury che sfrutta la sua voce più ariosa e dolce per tessere un capolavoro romantico intricato e complesso dal forte sapore di lieder. Non mancano naturalmente i mostruosi cori di supporto, tutti eseguiti da Freddie, mentre la chitarra di May interviene solo nel finale con un solo appassionato e struggente.

"Long away" è una ballata elettroacustica di May, graziosa ma senza acuti, con il chitarrista che è anche voce solista della canzone. "The Millionaire Waltz" (https://www.youtube.com/watch?v=H-P0VznfK_E), invece, è un altro superbo pezzo all'incrocio fra progressive romantico e vaudeville, in cui la parte del leone è giocata dal piano-voce di Mercury e dal basso elettrico di Deacon, che una volta di più mostra le sue magistrali capacità di controllo, gusto e pulizia allo strumento. Magistrale l'assolo di May che porta il pezzo verso la chiusura, conducendoci allo strepitoso finale in cui oltre alla vocalità strabordante di Mercury giungono a supporto le inarrivabili armonie vocali della band.

Il bassista Deacon compone l'uptempo "You and I", una canzone d'amore quasi alla Elton John, che si fa notare per un ottimo ritornello in crescendo e un bridge in cui l'interpretazione di Mercury ruba l'attenzione.

Poi si apre il lato B, e qui tocca fermarsi un attimo e prendere fiato, perché quella davanti a cui ci troviamo è una delle pagine più alte del rock degli anni settanta. "Somebody to Love" (https://www.youtube.com/watch?v=kijpcUv-b8M) sarebbe bastata a consegnare qualsiasi gruppo al Valhalla del rock'n'roll. Una ballad pianistica con un incrocio di strumenti incredibile, l'accompagnamento perfetto del basso di Deacon, gli interventi solisti di May alla chitarra, e i cori dei Queen che surclassano persino il proprio stesso lavoro nell'album precedente, con il canto di Mercury che raggiunge qui uno dei suoi apici assoluti. L'andamento del brano, quasi gospel a tratti, è semplicemente da pelle d'oca.

"White Man" è un altro hard rock di May, dedicato alla sofferenza dei nativi americani; un buon brano che spezza il ritmo del disco aggiungendo varietà, senza essere di per sé particolarmente memorabile. Mercury poi compone "Good old-fashioned lover boy" (https://www.youtube.com/watch?v=DejxWnnj34M), altra gemma nascosta del disco, che tematicamente riprende le atmosfere di "Killer Queen" (da "Sheer heart attack", di due anni prima). L'arrangiamento di questa perla è fantastico: a condurre il gioco sta il pianoforte di Freddie, il pezzo in soli tre minuti varia un numero infinito di volte, fra ritornelli, stop-and-go e soli, ma il vero re della canzone è comunque May, che nella seconda parte si esibisce con la sua chitarra in una strabiliante esecuzione di un arrangiamento per sezione fiati di stile trad jazz.

L'album si chiude poi con due brani minori, la sognante, psichedelica "Drowse" del batterista Taylor, che la canta anche, e "Teo Torriatte", ballata composta come tributo di Brian May ai fan giapponesi del complesso, e in cui Brian suona pianoforte e harmonium.

Che si può dire dell'album? Certamente non è ai livelli stellari del precedente "A night at the opera", ma si parla comunque di un ottimo disco per la band inglese, che riesce nella non facile impresa di confermarla come una delle migliori degli anni settanta su questa sponda dell'Atlantico. Per qualunque altro gruppo, "A day at the races" sarebbe stato il culmine di una carriera. Per Mercury e soci, invece, non è nemmeno nella top 3. Questo, naturalmente, non vi esime dall'ascoltare e venerare anche questo LP.


- Prog Fox

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