Fin dall'apertura, emerge lo stile ironico ed estremamente politicizzato di Manfredi: "Ma non è una malattia" (https://www.youtube.com/
non ti cambi mai, mi sembri proprio giù. Beh scusatemi ragazzi, oggi non ho altro da pensare ho il mio abito di dentro da cambiare").
"Agenda '68" riflette autocriticamente su come sia cambiata la sinistra dal 1968 al 1976; complemento essenziale del brano è "Quarto Oggiaro Story" (https://www.youtube.com/
Non c'è veramente nulla che non sia assolutamente politicizzato in questo disco: non c'è alcuna concessione all'individuo o all'amore, se non alla preoccupazione di conciliare il proprio impegno e a trovare una strada propria tra la tentazione della fantasia al potere e quella della rivolta armata ("Io clandestino", ma soprattutto nella ballata "Ma chi ha detto che non c'è", https://www.youtube.com/
"Ma non è una malattia" è uno dei dischi più estremi e vede la politica e la concezione dell'arte con gli occhi della sinistra extraparlamentare dell'epoca. È un documento a tratti inquietante, visto con gli occhi di oggi, di un momento storico in cui tante persone si domandavano forse con leggerezza eccessiva se fosse giunto il momento di 'fare la rivoluzione'. È molto difficile, dall'anno di grazia 2016, capire quale fosse la posizione di Manfredi a riguardo. Se il cantautore non ha mai scelto quel tipo di percorso, di certo non traspare la condanna della violenza di piazza, così come non era emersa in "Storia di un impiegato" di De Andrè, inciso tre anni prima. Ma l'intelligenza e l'estro di Manfredi, qualunque possa essere lo scetticismo nei confronti delle sue posizioni, rendono l'ascolto del disco - oggi quasi introvabile - una esperienza assai interessante.
- Prog Fox
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