Il 28 settembre di 40 anni fa, usciva uno dei più grandi capolavori della musica afroamericana - funk, r&b, jazz, quello che vi pare. Usciva "Songs in the Key of Life" di Stevie Wonder, un doppio album ebbro di pezzi fantastici e uno dei dischi più belli e sublimi del Secondo Dopoguerra americano e oltre.
(qui per l'album completo: https://tinyurl.com/yxlsqx8l)
A 26 anni, Stevie Wonder pubblica "Songs in the Key of Life". Dopo due successi di critica e pubblico come "Innervisions" e "Fulfillingness' First Finale", Stevie concepisce un'opera immensa - un doppio LP più un EP, per un totale di 105 minuti di musica che sono una vera e propria enciclopedia del rhythm & blues e di tutto ciò che a esso è correlato. "Songs in the Key of Life" è senza nessun dubbio un capolavoro - soul, funk, jazz, pop, r&b, tutti mescolati in modo quasi inscindibile, a costituire uno dei dischi più importanti della musica afroamericana di tutti i tempi.
Le tematiche di Wonder continuano a essere improntate al suo incrollabile amore per la vita ("Love's in need of love today"), alla sua fede in Dio ("Have a talk with God") e alle difficoltà dei neri americani ("Village Ghetto Land"). La quantità di pezzi fuori dal comune è incredibile: "Sir Duke", canzone funk-jazz-pop dalla ritmica irresistibile, dedicata a Duke Ellington in primis (ma anche ad altri idoli del giovane Wonder, da Louis Armstrong a Ella Fitzgerald); "Pastime Paradise", un classico della disco mid-tempo che sfrutta un tema bachiano (e che sarà a sua volta ripresa da Coolio, quasi vent'anni dopo, per "Gangsta's Paradise"); "Ordinary Pain", forse il pezzo più tormentato del disco, con uno sbrozzo di cantanti di accompagnamento, fra cui Minnie Riperton e Syreeta Wright.
La terza facciata si apre con "Isn't she lovely", una meraviglia soul scritta per la nascita della figlia Aisha - già capolavoro di suo, si eleva oltre il capolavoro stesso con uno dei più begli assoli di armonica mai concepiti (nonostante l'irritante inclusione degli urletti della figlia nel finale di canzone - sta caduta di gusto Stevie mio potevi risparmiartela, vabbè che dovevamo capirlo che era un segnale, viste certe cose che avresti fatto dopo); seguono "Joy inside my tears", un lento sentimentale strappalacrime che riesce, proprio come il brano precedente, a rimanere del tutto fuori da abusi corrivi nel testo e nella musica; e "Black Man", grande pezzo funk ancora improntato a un messaggio sociale in occasione dei duecento anni degli Stati Uniti d'America ("Now I know, the birthday of a nation is a time when a country celebrates - but as your hand touches your heart remember we all played a part in America to help that banner wave"; "This world was made for all men, God saved his world for all men").
È vero, il disco non è perfetto - la quarta facciata non arriva alla bellezza delle altre tre (nonostante la riuscitissima "As", con una delle prove vocali più assurde della carriera del cantante), e considerato che dopo ci sono altri 16 minuti di EP (nel quale spicca in particolare "Saturn", composta assieme al grande chitarrista Michael Sembello) si poteva forse selezionare meglio il materiale. Ma la mera quantità di musica incredibile e di gioia per la vita che si respira in "Songs in the Key of Life" è sufficiente a vincere ogni voglia di fare qualche critica a Stevie. È semplicemente troppo inebriante - non si può resistere agli unicorni, agli arcobaleni e alla voce di quest'uomo.
- Prog Fox
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