Anche oggi facciamo un tentativo di aprire le porte della nostra percezione senza bisogno di droghe psichedeliche ma spaziando in generi al di fuori del nostro. Proverà a darci una mano Sonny Rollins col suo "Saxophone Colossus", registrato sessant'anni fa esatti, il 22 giugno del 1956.
(qui l'album rimasterizzato con bonus tracks: http://www.deezer.com/ album/937094)
(qui l'album originale: https://www.youtube.com/ playlist?list=PLVG1KRr_9ktG smv2asJdz1O0uQgreRKAT)
(qui l'album originale: https://www.youtube.com/
Considerato uno dei capolavori dell'hard bop, "Saxophone Colossus" è costituito da tre composizioni di Rollins e da due cover. Quello che colpisce dei profani del genere è sicuramente il timbro del sassofono di Rollins, le cui improvvisazioni hanno bellezza e profondità tali da far pensare al canto.
"Saint Thomas" apre il disco con un ritmo calypso, certamente non-convenzionale, costruito da Max Roach, uno dei più grandi batteristi del jazz classico, assoluto protagonista del pezzo. "You don't know what love is", una cover di un brano di Carol Bruce di un vecchio film di Gianni e Pinotto, è magistrale, col sax lirico di Rollins in evidenza. Chiude il lato A un altro inedito di Sonny, "Strode Rode".
Nel lato B le composizioni si dilatano: "Moritat" è una lunga improvvisazione sul tema di Mack the Knife dall'Opera di Tre Soldi di Brecht e Weill; mentre il disco si conclude con gli undici minuti di "Blue Seven", che sugella la natura duplice di questo album, da un lato caratterizzato da una brillante esplorazione ritmica, e dall'altro sostenuto dalla voce del sax tenore di Rollins che si alza libera da convenzioni strutturali - lo strumento 'costruisce' pure melodie slegate da modi (che usa Davis) e accordi (come faceva il 'vecchio' bebop).
E se il nostro linguaggio è vergognosamente truce per voi musicisti e jazzisti seri, abbiate compassione di noi e perdonateci in nome di questo album.
- Prog Fox
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