(Qui potrete ascoltare il disco completo: https://www.youtube.com/
Dopo l'eccelso "Blow by Blow" (ottobre 1974), il primo disco puramente strumentale della propria carriera, Jeff Beck si trovò proiettato nell'Olimpo degli eroi della sei corde fusion. Uno status nuovo per uno che era stato un ragazzo terribile della chitarra blues e hard - e che Beck decise di fruttare al massimo, richiamando i collaboratori e amici George Martin (sì, proprio il produttore dei Beatles) e Max Middleton (tastierista da anni con Beck), e affiancando loro Jan Hammer e Michael Walden (rispettivamente tastiere e batteria della disciolta Mahavishnu Orchestra), e il sessonman americano Wilbur Bascomb al basso.
Guidato dalla sua proverbiale indolenza, Jeff Beck affida ai propri collaboratori anche il compito di comporre - Middleton, Bascomb e Hammer scrivono un pezzo l'uno, Walden ne scrive ben quattro, e per completare l'album la band incide una splendida versione di "Goodbye pork pie hat" (https://www.youtube.com/
Assieme a "Blow by Blow", "Wired" è probabilmente il disco di Jeff Beck maggiormente apprezzato dalla critica - e con buone ragioni. Come nella migliore fusion, le performance sono illuminanti e tecnicamente mostruose, ma poggiano sempre su architetture musicali dalla composizione intelligente e profonda. "Led Boots" (https://www.youtube.com/
Il lato B incomincia da "Blue Wind" di Jan Hammer, che per l'occasione si piazza anche dietro alla batteria. Il pezzo si apre singhiozzante, per poi tramutarsi in una cavalcata strumentale più linearmente rockeggiante, con un potente riff di chitarra. Hammer si ritaglia anche lo spazio per un assolo al fulmicotone.
"Sophie" (https://www.youtube.com/
"Love is green", un delicato duetto fra Jeff Beck e Michael Walden (che qui si esprime al pianoforte) conclude il disco in tono quasi dimesso, come a donarci un meditabondo notturno per depressurizzarci dall'esuberanza e dall'energia del resto dell'album prima di concludere l'ascolto e tornare alle incombenze del quotidiano.
Difficile trovare una 'canzone migliore' in un disco suonato così egregiamente, e con così tante idee nelle melodie e negli arrangiamenti. Certo si parla di un album che è uno dei vertici del rock strumentale degli anni settanta, un ponte musicale fra UK e USA, e fra blues rock e funk jazz, fra i più solidi e ben realizzati di quei floridi anni.
- Prog Fox
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