domenica 22 maggio 2016

Blue Oyster Cult: "Agents of Fortune" (1976)


Per alcuni, è il migliore album dei Blue Öyster Cult, probabilmente per la fortuna commerciale dovuta al successo di "Don't fear the reaper", classico radiofonico che faceva anche da colonna sonora del primo "Helloween" di John Carpenter. Ma in "Agents of Fortune" c'è molto di più: c'è la sublimazione in chiave FM rock del "thinking man's heavy metal" teorizzato da questa strepitosa (e ahinoi sottovalutata) band americana.



21 maggio 1976, i Blue Öyster Cult arrivano alla pubblicazione del loro quarto album. La band newyorchese, la cui musica è ormai nota come "thinking man's heavy metal", compone un disco di hard rock intricato e intelligente, con giusto un filo di concessione al sound FM del momento, e le solite collaborazioni brillanti ai testi ("The Revenge of Vera Gemini" con testo e partecipazione vocale della poetessa del punk Patti Smith).

L'album produce una sfilza di capolavori, oltre a rappresentare probabilmente il culmine musicale delle capacità innovative del quartetto: "This ain't the summer of love" seppellisce l'epopea hippie tra chitarre distorte e cori da ubriachi, mentre la voce perversa di Eric Bloom ci ricorda che "this ain't the garden of Eden [...] this ain't the summer of love"; "True confessions", una delle poche prove da cantante solista di Allen Lanier, è un'altra sbronza da caserma riportata su disco, una parodia dissoluta di una canzone d'amore surf; "Extra Terrestrial Intelligence" si prende gioco dei complottisti con un hard'n'roll sporco e accattivante nobilitato da un pazzesco assolo finale (e cita anche the King in Yellow di Chambers); la cavalcata epico-struggente di "Morning Final", che descrive un insensato omicidio fra drogati; il bridge strumentale di "Tenderloin"; la chiusura di "Debbie Denise", una delle tante ballate rock sul tema delle difficoltà nel portare avanti un matrimonio nel vorticare frenetico dei tour; non c'è un brano che manchi di arrangiamenti interessanti e linee melodiche riuscite.

Su tutto, il brano che ha probabilmente donato l'immortalità agli Agenti del Fato (così si traduce il titolo, come sempre un riferimento agli aspetti falso-esoterici e orrorifici presenti negli album della band): "Don't fear the reaper", che verrà poi utilizzato anche nella colonna sonora di "Helloween". Il brano si apre con un arpeggio in minore poi supportato da una cascata percussiva prodotta dal proteiforme Albert Boucher, sublime nell'uso del suo strumento, mentre tutti gli altri strumenti e le voci dei cinque si amalgamano alla perfezione, con un call-and-response demoniaco che traccia la storia di due amanti legati da un patto suicida. La parte centrale del brano vede Donald Roeser impegnato in uno dei suoi assoli migliori, dal sapore vagamente mediorientale, prima che il brano ritorni al racconto, che si conclude con la morte degli amanti e con un crescendo puntellato dal caracollare della batteria.

Quello dei Blue Oyster Cult è hard rock nell'era del punk, e probabilmente il migliore hard rock *possibile* nell'era del punk: sporco e graffiante, pieno di assoli intelligenti e di performance strumentali incendiarie, sarcastico, maledetto e intriso di humor nero, con quella giusta dose di cinismo e autoironia per guardare con distacco se stessi e la propria musica, cosa che manca troppo spesso non solo nell'heavy metal. Gli Agenti della Fortuna, cultisti dell'Ostrica Blu, incideranno ancora album sensazionali, ma non suoneranno mai più così convincenti e consapevoli di sé.


- Prog Fox

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