domenica 28 febbraio 2016

Fugs: "The Fugs' Second Album" (1966)

Prosegue il nostro viaggio fra i migliori album del 1966 con "The Fugs", anche noto come "The Fugs' Second Album", che è appunto il secondo album dei Fugs (non l'avreste mai detto, eh?), forse il primo gruppo underground americano. Il disco fu inciso fra gennaio e febbraio del 1966.





I Fugs sono uno dei tanti gruppi ingiustamente dimenticati dalla storia del rock. In realtà forse non sono mai neanche stati famosi da giovani. Furono probabilmente il primo gruppo underground, fondati a New York nel 1963 dai poeti e cantautori Tuli Kupfenberg ed Ed Sanders col batterista Ken Weaver. Pubblicarono il loro debutto nel 1965, tra poesia beat e folk rock tra il minimalista e il deliziosamente incompetente.

I Fugs furono una ispirazione enorme per Velvet Underground e Frank Zappa: musicisti completamente indipendenti e impermeabili a qualsiasi regola del mercato e del buon senso; satiristi geniali e crudeli; intrisi di controcultura e cultura letteraria - Kupferberg era amico di Burroughs e un esponente minore del beat, e viene persino citato in "Urlo" di Ginsberg quando parla dell'uomo che "jumped off the Brooklyn Bridge and walked away unknown and forgotten into the ghostly daze of Chinatown".

Se il loro debutto era stato poco più di un divertissement, per il loro secondo album vengono scritturati dalla ESP (casa discografica specializzata nel free jazz), e reclutano un quartetto di musicisti di eccezione e un produttore vero (Richard Alderson, che fa anche da ingegnere del suono).

La band mescola il folk rock con il garage rock più sporco, abrasivo e dissoluto, concependo un'opera innovativa, zeppa di idee e di fantasia, e sopra a tutto divertente. Il disco viene inciso tra gennaio e febbraio del 1966, quando ancora Frank Zappa non è entrato in studio per il suo primo album e il garage rock non si è ancora trasformato in psichedelia vera e propria.

L'impatto sui contemporanei della loro generazione è poco meno che devastante, come si può comprendere ascoltando l'album: 24 minuti per 9 canzoni brevissime - quasi proto-punk come "Frenzy" (appunto frenetica e ballabile, roba che starebbe bene in un live dei Ramones), l'attualissima "Kill for Peace", oppure delicate ballad elettriche come "I want to know" e "Morning morning" (impreziosita dalla voce di Betsy Klein), o talking blues elettrici alla Dylan come "Doin' all right".

Poi il disco fa un'improvvisa virata a 180°, buttandosi sull'avanguardia elettronica di "Virgin Forest", ordalìa di effetti sonori e urla animalesche che descrivono una traversata spaventosa di una foresta elettrica e atonale: 11 minuti di orrore a cui pone termine lo sgangherato 'corale angelico' che chiude il brano con una versione angosciante a cappella dei cori beatlesiani o byrdsiani tanto in voga all'epoca.

Noi ci togliamo il cappello davanti a questo disco e vi invitiamo a dedicargli una mezzora; magari leggendo i testi (non facilissimi da trovare on line in effetti, ma qualcosa c'è).

- Prog Fox

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