domenica 28 febbraio 2016

Lucio Battisti: "La batteria, il contrabbasso, eccetera” (1976)



(qui per l'album completo: https://tinyurl.com/y4fj5n42)

Battisti e Mogol sono reduci, nel 1976, dal controverso “Anima Latina”, un disco allora recepito in maniera molto sfavorevole da critica e pubblico, anche se assurto allo status di culto nei decenni seguenti. Lucio, sempre inquieto e alla ricerca di nuovi territori da esplorare, si recherà negli Stati Uniti a toccarne con mano le nuove tendenze, e rientrerà in Italia con un piano ambizioso: fondere il pop-rock “bianco” con i nuovi ritmi del funk nero, che sta emergendo prepotentemente in America.

Il risultato è “La batteria, il contrabbasso, eccetera”, un disco che abbandona le velleità prog di “Anima Latina” ma non la volontà sperimentale. Già a partire dal singolo, nonché brano d’apertura, “Ancora tu”, si evidenziano i sincopati ritmi funk a supporto di una melodia orecchiabile e di un testo tra i più iconici dell’era Mogol (che all’incipit “Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?” risponde poi con un “Lasciarti non è possibile”, raccontando nel mezzo la storia di una vecchia coppia di amanti che si ritrovano, riscoprendo il fuoco della complicità). Mogol non raggiunge gli stessi livelli memorabili lungo tutto il disco, ma certamente notevoli sono “Dove arriva quel cespuglio” e “Il veliero”, se non altro per il cinico sarcasmo di cui sono intrise.

Se l’ascoltatore abbandona per un istante gli ovvi pregiudizi che un brano così famoso genera, e lo analizza attentamente, scoprirà un fatto scioccante: questo brano è un perfetto esempio di “White funk”, il genere sorto dalla commistione di funk e new wave che sarebbe nato solo l’anno dopo, per mano dei Talking Heads (“77”) e Brian Eno (“Before and after Science”).

Se al falsetto di Battisti si sostituisce la voce stentorea di David Byrne, buona parte de “La batteria, il contrabbasso eccetera” potrebbe tranquillamente essere un estratto dei primi due dischi dei Talking Heads: non solo “Ancora tu”, ma anche “Un uomo che ti ama”, “Io ti venderei” e “Il veliero” rispondono perfettamente ai canoni “White Funk”. Canoni che, come detto, non erano stati ancora codificati. E basterebbe questo a rendere questo disco un ascolto obbligato, se non altro perché, a leggere le recensioni che si trovano sui principali siti di critica musicale italiani, questo “dettaglio” sembra essere sfuggito ai più.

Tenetelo a mente, per quando volete far perdere le staffe a quel vostro amico appassionato di post-punk con le fisime da critico musicale.

- Spartaco Ughi

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