Usciva vent'anni fa "Takk", quarto album degli islandesi Sigur Ros e assoluto capolavoro del post rock anni zero.
(disco completo: https://tinyurl.com/y4acp2cb)
Nei primi anni di questo millennio il mondo della musica pop(olare) e rock ha vissuto senza dubbio uno dei momenti più emblematicamente incerti
e di conseguenza fertili forse di sempre.
Usciti dalla abbuffata della seconda metà degli anni novanta con le ossa fondamentalmente rotte dalla dipartita, artistica e purtroppo in
molti casi fisica, degli dei di oltremanica, con le loro camicie a quadrettoni e il loro alternative rock ormai virato in
solido mainstream, ci si è trovati improvvisamente in un periodo di sostanziale interregno.
Calato anche sostanzialmente il sipario sulla fase più propulsiva ed incendiaria anche del brit-pop, per il popolo sovrano il "che fare?"
diventa un quesito abbastanza impellente.
Tuttavia, la risposta non tarda.
E mentre il mainstream di cui sopra trova - in poco tempo - un pronto supplente ai troni vacanti
(qualcuno ha detto Coldplay? qualcuno ha pensato ai Muse? ai Foo Fighters? ), la vena pulsante dell'indie porta ai nostri cuori
un nuovo battito.
La risposta ci arriva in una lingua incomprensibile, ed è questo il miracolo e la fonte di stupore.
Il battito proviene da una terra finora vista quasi come bizzarria e curiosità quasi etnografica, ed è questo che rende ancora più
magico (si perdoni il termine caramelloso) il tutto.
Per venire - in definitiva - a noi: si dice "post-rock" e si legge, in definitiva, "Sigur Ros".
Si legge Islanda. Si legge "hopelandic": lingua inventate ma plausibilmente reale.
Prima "Von" comincia a diffondere il verbo in modo grezzo, ma poi è "Agaetys byrjun" il silenzioso squillo di tromba che annuncia questa rivoluzione fatta
fondamentalmente di tempo (dilatato e restituito all'ascoltatore, finalmente: come un respiro dopo la corsa) e spazio.
Con il successivo "()" continua a costruire questo nido (madre Bjork non parlava forse di "Cocoon"?) , mentre "Takk" lo rende sempre più coeso
e accogliente.
Qundi : "Takk" - veniamo al punto - esce nel 2005 raccoglie l'eredità del precedente "()", che resta probabilmente il vero capolavoro dei nostri
folletti.
Il silenzioso caleidoscopio del disco senza titolo viene ripreso e si parte davvero alla grande.
La prima parte del disco pesta decisamente forte sulla temperatura emotiva: "Glosoli", "Hoppipolla", "Saeglopur" sono pezzi francamente
clamorosi.
Nella - programmatica e studiata - apparente ingenuità dei riferimenti utilizzati (bambini, pozzanghere, mostri, sole nascente), questi brani
riescono subito a sbaragliare il campo da ogni dubbio sulla temperatura emotiva.
E anche la seconda parte del disco - composta da brani più dilatati e riflessivi (su tutti "Mílanó" e la conclusiva "Heysátan") - riesce
a tenere viva il coinvolgemento.
Stilisticamente Takk è un lavoro che sicuramente muove le carte in tavola: mentre "()" era un disco ancora in un certo senso
chiuso, privo di compromessi e fortemente ancorato alla cifra originale - straniante ed intensa - dell band, "Takk"
rivela sicuramente delle aperture ad un suono più consueto e accessibile. Meno ossessivo, meno scuro.
Sia chiaro: questo (realtivo) cambio di passo non è un difetto, data la qualità complessiva del disco che resta altissima.
Verranno in futuro passi forse più incerti e meno avvincenti, certo.
"Takk" resta un'evoluzione necessaria e riuscitissima.
Una necessaria uscita dal nido, ma senza allontarsi troppo: per tornarci per respirare e per restarci di nuovo avvinti.
- il Compagno Folagra
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