giovedì 2 ottobre 2025

Oasis: "(What's the story) Morning Glory?" (1995)

Usciva trent'anni fa oggi "(What's the story) Morning Glory", secondo album dei britannici Oasis. I fratelli Gallagher e i loro soci realizzano uno dei dischi più rappresentativi degli anni Novanta, con 22 milioni di copie vendute nelmondo. "Wonderwall" e "Don't look back in anger" saranno fra i brani più iconici del decennio britannico. Su "Champagne Supernova" compare nientepopodimeno che Paul Weller a chitarra e voce.



Disco completo --> https://tinyurl.com/28bca8wf

Il secondo album degli Oasis, “(What’s the Story) Morning Glory”, esce il 2 ottobre 1995. Preceduto da tre singoli di grido come “Some Might Say”, “Roll with It” e la titular “Morning Glory”, che paradossalmente consegnarono la vittoria ai Blur nella cosiddetta “Battle of Britpop” estiva. Niente panico, è risaputo che fu l’album nella sua interezza a coronare gli Oasis, assegnandogli il dominio assoluto nel lungo termine.

Spendo poche e scontate parole sull’ascesa degli Oasis, che avviene in un contesto dominato dal grunge stelle-e-strisce, in una Gran Bretagna animata (direi quasi posseduta) da una smania di ritrovare una propria autentica identità popolare, all’origine del concetto massmediatico di “pop”. La wannabe “Cool Britannia”, stanca e fiaccata dall’esperienza liberal post-Thatcher, desertificata in termini culturali, si trova ad un bivio. Ed in questo contesto artistico di confine i Gallagher, provenendo dall’ambiente operaio di Manchester, sono il prodotto generazionale perfetto, il più recettivo culturalmente: cresciuti a pane, Beatles, Stone Roses e brit-rock, arrabbiati e in forte antagonismo con la spinta yuppie anni ‘80. Il background operaio chiede a gran voce di “riportare la musica alla gente”, espresso in modo eloquente in “Definitely Maybe”, nuovo punto di riferimento della working class. Ma a differenza del debutto così puro, grezzo ed immensamente difficoltoso, Noel decide programmaticamente che il secondo disco deve avere alte aspirazioni, testi perfetti e ballate iconiche, per fare il salto definitivo da star locali a fenomeno mondiale.

Pertanto, archiviato il periodo caotico e febbrile del primo album, i Nostri si strutturano per realizzare il disco, un prodotto pulito e razionale sin dalle prime registrazioni. Ovviamente la storia racconta una verità diversa: gli Oasis si rinchiudono a maggio–giugno 1995 nei Rockfield Studios di Monmouth, in Galles. Nonostante le premesse, le sessioni sono da subito concitate, con tempi ridottissimi e maggiori incazzature. Il disco viene registrato in soli dodici giorni, con il produttore Owen Morris che utilizza un aggressivo brick wall mastering, contribuendo alla “loudness war” del periodo (cosa che degenererà fatalmente con “Be Here Now”, ma è un’altra storia). Noel scrive e riscrive i brani in corso d’opera e per questo molte canzoni vengono completate in fretta e furia; ma è uno di quei miracoli del pop, e ci fa pensare che la Musa preferisca le strade malfamate di Madchester al monte Elicona. Il prezzo di tutto questo sono gli epici litigi tra i Gallagher, prodromi del grande odio reciproco che contraddistinguerà i più celebri fratelli-coltelli del rock. Nel mentre, la band licenzia il batterista Tony McCarroll e il suo sostituto Alan White debutta proprio in queste sessioni. In questa atmosfera vulcanica creativamente, ma emotivamente incandescente, si sommano le più disparate influenze, veri e propri marchi di fabbrica della band. Noel ammetterà in seguito di aver saccheggiato a piene mani una serie di idee dai Beatles e da altri suoi eroi del rock britannico (scontato); il brano “Morning Glory” cita apertamente “The One I Love” dei R.E.M., mentre la chitarra slide di “Champagne Supernova” è suonata da Paul Weller, che ci delizia suonando anche l’armonica in “Don’t Look Back in Anger”. Per non parlare dei testi che è un vero e proprio manuale occulto di riferimenti beatlesiani. Ma non basterebbe questo articolo a rivelarveli tutti.

Al debutto, la stampa musicale britannica accoglie tiepidamente l’album; alcune recensioni lo bollano come derivativo, trito, una squallida fiera del “già visto, già sentito”. Ma la grande e generosa sorpresa arriva dal pubblico, che sin da subito lo adora: l’album diventa il disco britannico sold-out più velocemente dai tempi di “Bad” di Michael Jackson e raggiunge le 347.000 copie nella prima settimana. I successivi iconici singoli “Some Might Say”, “Wonderwall” e “Don’t Look Back in Anger” entrano nella Top 10 degli Stati Uniti, contribuendo a lanciare la band nel mercato americano, vero El Dorado per ricavi e consacrazione massima di una rock band con aspirazioni planetarie. Nel giro di pochi anni l’album vende oltre 22 milioni di copie nel mondo e diventa il terzo disco in studio più venduto di sempre nel Regno Unito. L’amore incondizionato del pubblico ha polverizzato tutte le grame recensioni iniziali, come sempre incapaci di sentire quando il nuovo avanza e si impone come nuovo canone. Il disco ha segnato il momento in cui gli Oasis “diventarono la band del popolo”, ha vinto anche due Brit Award ed ha inaugurato un faticosissimo tour mondiale di 103 date (interrotto più volte dai litigi tra i Nostri).

Ma come sono queste canzoni? Possiamo riassumerle così: un essenziale e perfetto mix di spettacolari ed esaltanti inni da stadio, insieme a delicati momenti intimisti. “Hello”, brano terminato al foto finish, si costruisce su un campione di Gary Glitter ed inaugura il tema dell’album: l’idea di essere finalmente diventati “pop star” (in palese antagonismo con la prima traccia del precedente). Di “Roll With It” ricordiamo che ha dato il via alla famosa “Battle of Britpop” con i Blur, ed incarna il messaggio molto working classi di perseverare e, se possibile, non lamentarsi. Di “Wonderwall” è stato scritto di tutto, fiumi di inchiostro per una canzone che è il manifesto del britpop, e la più riconoscibile anche dai profani: inaugura quel melange tanto apprezzato e poi successivamente disconosciuto di chitarre acustiche e archi, segnando anche il passaggio verso una scrittura nettamente più introspettiva. Se gli Oasis fossero un ispido istrice pieno di aculei, “Wonderwall” rappresenta il loro pancino morbido. “Don’t Look Back in Anger”, prima canzone singolo cantata da Noel, è oggi considerata - a buona ragione -, un inno generazionale. Noel l’ha definita una “All the Young Dudes” scritta dai primi Beatles; di rimando, Paul McCartney ha detto che “ci troviamo davanti ad una delle melodie più belle di tutti i tempi”: concordiamo. “Some Might Say”, primo singolo dell’album e ultimo con il batterista McCarroll. Bell’esempio di “call and response” tra Liam e Noel. “Cast No Shadow”, splendida ballata dedicata all’amico Richard Ashcroft dei Verve; rappresenta il lato più riflessivo di Noel, che troveremo poi espresso in molte altre ballate, ma qui è nella sua forma primigenia; suggeriamo di recuperare la versione unplugged, ancora più in purezza. “She’s Electric”, simpatico ed elettrizzante brano pop, un pastiche “beatlesiano” pieno di cori e non-sense british. “Morning Glory”, inno rock con riferimenti espliciti alle droghe (“sipping up the white line”), in un’atmosfera febbrile, che celebra l’edonismo ritrovato della seconda metà degli anni ’90. “Champagne Supernova”, finale epico e trascinante in atmosfere sognanti e psichedeliche, con un testo onirico sempre squisitamente intimista. Come già scritto sopra, Paul Weller suona la chitarra e l’armonica. Segnaliamo inoltre tra gli splendidi B side: “Acquiesce”, che ripropone la doppia voce di Noel e Liam in un testo davvero molto ispirato di comunione di intenti e di affetti, che più volte è suonato ironico, pensando alla diatriba infinita tra i due (“Because we need each other”). “The Masterplan”, un capolavoro assoluto di Noel, dal testo perfetto racchiuso in una melodia irrinunciabile; incredibile che non abbia avuto dignità di lato A, ma è stata riscattata con l’eponimo album compilation dei singoli migliori, pubblicato nel 1998.

Oggi possiamo dire con la massima certezza che il successo di “Morning Glory” trascende formalmente l’angusto contesto britpop che lo ha generato. Le sue canzoni sono divenute inni generazionali e il successo mondiale del tour del 2025 (dopo ben 30 anni), certifica che il passaggio di mano tra giovani di allora e giovani di oggi si è realizzato alla perfezione, quasi senza soluzione di continuità. Sono in tanti a sostenere, ed io uno di quelli, che sussiste una precaria ed irripetibile alchimia tra i Gallagher che ha consentito questo miracolo, ovvero una combinazione di arroganza e vulnerabilità, spacconaggine e depressione suburbana, desiderio di riscatto e nichilismo operaio, pianto sommesso e festaiola allegria: il prodotto finale sono la voce di Liam, graffiante e melodica come mai, e i testi perfetti di Noel, fusi insieme per realizzare una straordinaria opera d’arte contemporanea. C’è un modo di dire che usiamo in questi casi, quando agli artisti è concesso giungere all’apice della propria capacità creativa, riuscendo per un secondo solo a sfiorare il volto del dio. Questo disco è la rappresentazione pratica di tale precaria ed irripetibile condizione, riassunta nella frase: “stato di grazia”.

- Agent Smith


#oasis: #noelgallagher (chitarre acustiche & soliste, pianoforte, mellotrone & voce) #liamgallagher (voce) #paularthurs (aka #bonehead; chitarre acustiche & elettriche, pianoforte & mellotron) #guigsy (aka #paulmcguigan; basso elettrico) #alanwhite (batteria & percussioni) ospiti: #markfeltham (armonica) #tonymccarroll (batteria) #briancannon (tastiere) #paulweller (chitarra elettrica & voce)

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