mercoledì 15 ottobre 2025

Falco: "Falco 3" (1985)

Esce quarant'anni fa oggi "Falco 3", terzo album dell'omonimo cantante e musicista austriaco. Il disco viene lanciato al terzo posto nelle classifiche americane dal singolo "Rock me Amadeus", che sfrutta il tiro del film "Amadeus" di Milos Forman: il singolo arriva addirittura al primo posto nelle classifiche americane. L'album arriva al primo posto in Austria e Svizzera, mentre "Rock me Amadeus" arriva al primo posto anche in Austria, Canada, Germania Ovest, Irlanda, Nuova Zelanda, Regno Unito, Sudafrica, Spagna e Svezia (e al secondo da noi in Italia, oltre che in Belgio e Svizzera).



(disco completo qui: https://tinyurl.com/bdem24b5)

A metà degli anni ’80, la musica pop internazionale viveva un crocevia. In Inghilterra e Germania le band synth‑pop e new romantic come Duran Duran, Ultravox e Depeche Mode dominavano le classifiche grazie a sintetizzatori sempre più economici. Intorno al 1985 si avvertì però una reazione: negli Stati Uniti l’heartland rock di Bruce Springsteen e John Mellencamp e il ritorno delle chitarre portò molti ascoltatori a rifiutare il pop sintetico; in Gran Bretagna la nascita dell’indie rock (The Smiths) segnò la fine del synth‑pop nelle classifiche.

In questo magmatico contesto, nel settembre 1985 l’album Falco 3 spalanca le porte del mondo musicale all’eccentrico cantante viennese Johann “Falco” Hölzel. Contagiato dall’estetica elettronica new wave, sperimentata in “Der Kommissar”, Falco era fino ad allora solo noto nei circoli synt-pop di Vienna e in qualche club della Germania Ovest. Archiviato il flop di “Junge Roemer”, Falco chiama in scuderia i fratelli Rob e Ferdi Bolland, autori del brano “In the Army Now” (portato al successo dagli Status Quo), che in quel momento stavano già flirtando con le nuove sonorità di musica elettronica. Cambio di mentalità totale per il Nostro, che decide di mettere da parte il sarcasmo e i testi cervellotici dei primi album, accettando una poderosa svolta commerciale, tra cui la celeberrima “Rock Me Amadeus”, rigettata inizialmente come spazzatura commerciale. Per darvi un’immagine nostrana, è come Bruno Lauzi che canta e balla “Il Vecchiaccio” in tv. Cose da pazzi.

L’album, inciso in buona parte al Bolland Studios di Hilversum e alla Unique Recording Studios di New York, esce in un contesto musicale in rapido mutamento: la scena synth‑pop dominata da tastiere e drum‑machine, popolare in Europa tra il 1981 e il 1985, stava subendo la contro-reazione negli Stati Uniti, mentre in Germania e Austria il movimento viveva il suo momento sincretico di fusione con il rap e la dance, appena sbarcate dagli States. Falco attinse a piene mani da questa bizzarra contaminazione: ritroviamo infatti il rap in tedesco e inglese, melodie catchy di synth‑pop e new wave, la cadenza ossessiva della Euro‑disco (divenuto poi mainstream) e perfino riferimenti all’hip‑hop newyorkese.

La scelta è perfetta: “Falco 3” si rivela subito un successo globale. Il singolo “Rock Me Amadeus” raggiunge il primo posto della Billboard Hot 100 ed è l’unico brano in lingua tedesca nella storia a farlo, trainando l’album al terzo posto della classifica statunitense e al diciottesimo nella classifica R&B/Hip‑Hop. In Europa il disco conquista il primo posto in Austria e Svizzera, coronando Falco come artista austriaco più venduto di sempre. Nonostante la sua natura commerciale, molti critici apprezzano la capacità di fondere rap, synth e melodia pop. Alcuni però lamentano la perdita del cinismo e della provocazione dei primi dischi; i maligni dicono però che Falco contribuisce all’album con un solo brano, affidandosi in toto ai fratelli Bolland, per un disco costruito a tavolino. Quindi il Falco autentico è lsolo quello intimista e nichilista dei primi album, e non questa specie di festaiolo ibrido; una creatura di Frankenstein (Falkenstein?) creata nel laboratorio discografico newyorkese dai Bolland. Vai a capire.

Il disco non è di facile lettura e men che meno di facile ascolto, caratterizzato da un’eterogeneità stilistica al limite del fastidio: dalle variazioni di disco e tango ai brani di rap europeo, dalle ballate drammatiche alle reinterpretazioni di classici rock. I testi oscillano tra satira e racconto cinematografico. Falco alterna strofe parlate o semi‑rappate in tedesco a ritornelli accattivanti in inglese, una scelta furba che rende i brani fruibili anche fuori dai paesi germanofoni. Inoltre, l’album recupera orgogliosamente la tradizione austriaca, citando Mozart e Vienna, campionando il valzer “Il bel Danubio blu”, e sfottendo alla grande l’America. Da segnalare i due brani cover: “Munich Girls (Lookin’ for Love)” dei Cars e “It’s All Over Now, Baby Blue” di Bob Dylan. Sembra di stare a Vienna in un sabato pomeriggio a fare zapping sulle tv locali: una compilation di esperimenti pop tenuti insieme da un'esile coerenza stilistica.

Ma analizziamo i singoli brani di questo zibaldone austriaco. “Rock Me Amadeus”, è il manifesto programmatico di “Falco 3”. I fratelli Bolland costruiscono un groove irresistibile con synth ronzanti, beat di drum‑machine e linee di basso che citano il funk. Falco alterna rap e canto parlato per raccontare la vita dissoluta di Wolfgang Amadeus Mozart; la canzone è ispirata al film Amadeus di Miloš Forman (un po’ come se noi facessimo una canzone in italiano per celebrare il Gladiatore) e inserisce un coro in inglese per enumerare i vizi del compositore. Il ritornello è memorabile e la sua pronuncia austriaco con la “r” arrotolata viennese aggiunge un fascino esotico. “America (The City of Grinzing Version)”, seconda traccia e secondo singolo in alcune edizioni, utilizza una melodia catchy per raccontare la fascinazione europeista verso gli Stati Uniti e, contemporaneamente, l’ironia di Falco per la cultura consumistica. Il ritornello cantato e le strofe rappate sono sorrette da un groove disco‑funk; il sottotitolo “The City of Grinzing Version” omaggia un quartiere di Vienna, a suggerire un parallelo tra New York e la città natale dell’artista. Pur non raggiungendo i vertici di “Amadeus”, il brano rimane una piacevole satira dell’americanizzazione. Con “Tango the Night (The Love Mix)” siamo in pieno kitsch e tango-disco, un genere che avremmo preferito non esistesse. Il brano mescola un ritmo da discoteca con l’accentazione sincopata del tango; l’artista urla “Olé!” tra i cori, creando un’orrida atmosfera da balera. Una canzone che ci rimanda all’Eurovision svedese, puro stile camp. “Munich Girls (Lookin’ for Love)”, interpretazione di “Lookin’ for Love” dei Cars, celebra le ragazze di Monaco di Baviera e la libertà notturna. “Jeanny (Part 1)”, una ballata lenta e inquietante che ricorda (molto) alla lontana “Roxanne” dei Police. Il brano racconta l’inseguimento di una giovane ragazza da parte di un uomo che afferma di amarla, ma rivela subito un risvolto macabro: il protagonista dice che lei non verrà mai ritrovata. Avete capito bene: c’è pure il finale col flash giornalistico in cui la voce di un telegiornale descrive la scomparsa di una diciannovenne. Ovviamente fu accusata di glorificare la violenza sessuale e in Germania molte radio la bandirono o la trasmisero con avvertimenti. Il presentatore Thomas Gottschalk la definì “spazzatura” e associazioni femministe chiesero il boicottaggio. Falco difese il brano, sostenendo che si trattava di uno studio psicologico su uno stalker e non di un’esaltazione del crimine. La canzone scalò comunque le classifiche in Austria, Germania e Svizzera e divenne un elemento distintivo della musica pop in lingua tedesca. La sua struttura cinematografica e il video diretto da Russell Mulcahy (che cita Psycho, Il terzo uomo e M) ne hanno fatto un oggetto di culto ma anche un esempio di come l’arte pop possa suscitare dibattiti morali. “Vienna Calling (The Metternich Arrival‑Departure Mix)” prosegue il filone geografico di “Amadeus” e porta l’ascoltatore in una Vienna cosmopolita, combinando rap parlato, un ritornello in inglese e un arrangiamento dance‑pop, citando anche la celebre melodia del valzer “Sul bel Danubio blu”. “Männer des Westens – Any Kind of Land” è un mix di new wave, rap e funk con inserti di archi e cori classicheggianti. Il testo scherza sui miti dell’America occidentale e della cultura cowboy, contrapponendoli alla realtà urbana europea. “Nothing Sweeter Than Arabia (The Relevant Mix)”, prosegue il pastiche dell’album, introducendo pure colori mediorientali: melodie in scala araba, percussioni sincopate e un andamento lento. Falco sperimenta con la pronuncia inglese, ma la canzone appare scevra di un ritornello forte. “Macho Macho (Gotta Do It Mix)” è il brano più rock del disco: chitarre distorte e batteria in primo piano accompagnano un ritornello cantato a pieni polmoni. Il testo ironizza sugli stereotipi maschili e sugli uomini che ostentano virilità. “It’s All Over Now, Baby Blue” chiude il disco con una sorprendente cover lounge del classico di Bob Dylan. Falco rallenta il ritmo e adotta un canto suadente accompagnato da sax e pianoforte, in uno stile definito “jazz‑mock‑Bryan Ferry”. Scelta audace, pure troppo.

“Falco 3” è un contributo fondamentale che definisce la nuova identità pop europea; con la fusione di rap tedesco, melodie pop e riferimenti colti, il Nostro dimostra che anche un artista di lingua non inglese è in grado dominare le classifiche mondiali. Il successo di “Rock Me Amadeus” apre la strada a future collaborazioni tra pop e rap e ispirerà artisti come “La Brass Banda”, “Die Fantastischen Vier” e darà anima e corpo al movimento “Neue Deutsche Härte”. L’album è una pietra miliare anche per la scena euro‑dance dei primi anni ’90, che riprenderà l’uso di ritornelli in inglese su base dance e la miscela di rap e canto.

Ma ci sono luci ed ombre: nonostante il trionfo, la controversia di “Jeanny” e gli eccessi personali frenano fatalmente la carriera internazionale di Falco, che non eguaglierà mai il successo di “Falco 3”. Sarà la sua morte prematura in un incidente d’auto nel 1998, a trasformarlo in un’icona cult, audace visionario che ha portato la lingua tedesca nelle discoteche di tutto il mondo. Oggi “Falco 3” rimane un documento prezioso della cultura pop anni ’80: un disco eclettico, di certo kitsch e irriverentemente camp, ma dalla grande spinta innovativa, capace di catturare lo spirito di un’epoca e testimonianza vera del talento visionario di un artista irripetibile.

- Agent Smith

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