Esce dieci anni fa oggi "Everyone into Position", secondo album dei mancuniani Oceansize: un disco che parte dagli ultimi Alice in Chains per arrivare al neo progressive passando per il post-rock - in dieci brani. Disco da non perdere per gli amanti del grunge, del progressive e dell'hard rock - decisamente meglio se di tutti e tre insieme - e assolutamente sconsigliato ai puristi dei generi.
(disco completo qui: )
Nati nel 1998 a Manchester, dove la maggior parte di loro studia all'Università, gli Oceansize arrivano al loro secondo disco con un ulteriore raffinamento delle loro capacità strumentali. Fin dalle prime note di "The Charm Offensive", che apre il disco, si individuano le influenze grunge (in particolare degli Alice in Chains), quelle post-hardcore (gli At the Drive In), quelle post-rock (i Mogwai), quelle brit rock (i Muse), più una scelta di poliritmi e controtempi che, inizialmente contro il loro stesso desiderio, li rende appetibili e inquadrabili nella scena neo progressive.
"You can't keep a bad man down" è la chiara dimostrazione della capacità della band di riunire influenze disparate in una pasta multiforme eppure omogenea, in cui gli strumenti sono amalgamati con arte nel mix, dalle chitarre distorte alle numerosi voci alla batteria marziale e gonfia di fills, prima che la band cambi completamente registro e passi a una litania quasi timbuckleyana, di voci lisergiche e strumentazione liquida che spinge al violentissimo eppure lirico volo finale. "Music for a Nurse", anche edita come singolo, si caratterizza per un crescendo magistrale con passo da post-rock con influenze tra Radiohead, Mogwai, Sigur Ros e Pink Floyd.
Non è strano, in un album del genere, che i pezzi meno interessanti e meno riusciti siano quelli che più convenzionalmente seguono regole alt-rock come "Heaven Alive" e "New Pin HD", cosa che rende un po' meno digeribile l'ascolto di un disco lungo ben 70 minuti.
L'ascolto del disco si conclude con "Ornament/The Last Wrongs", nove minuti e 25 secondi di epos purissimo che incrocia la miglior tradizione progressive anni '70 con il post rock alla Mogwai. Introdotto dalle suggestive voci di pappagalli amazzonici registrati nella foresta, il pezzo scorre maestoso fino al grandioso corale finale, in cui le voci di Steve Durose e Mike Vennart, sovraincise innumerevoli volte, erigono una architettura sonora catartica, sacrale, quasi religiosa, che ricorda la luce che penetra dai vetri di una cattedrale in rovina in un bosco. E su tutto regna incontrastato il paesaggio sonoro tracciato dalla batteria del virtuoso Mark Heron, con i suoi poliritmi, i suoi tempi dispari e la sua frammentaria, discontinua pulsazione percussiva.
La varietà di temi e idee espressi dagli Oceansize sono poco meno che impressionanti: quando essi sono presenti contemporaneamente in uno stesso brano, il gruppo appare potente, originale e capace di esprimere qualcosa di veramente inedito nel panorama rock. Non sempre questo però avviene lungo "Everyone into position". Gli Oceansize perfezioneranno questa capacità nel successivo "Frames" (2007).
- Prog Fox
#oceansize:
#mikevennart (voce & chitare)
#stevedurose (voce & chitarre)
#gambler (aka #richardingram; chitarre)
#jonellis (basso elettrico & tastiere)
#markheron (batteria)
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