venerdì 5 settembre 2025

Jethro Tull: "Minstrel in the Gallery" (1975)

Esce cinquant'anni fa oggi "Minstrel in the Gallery", ottavo album in studio dei prog rocker Jethro Tull. Molto accreditato presso i fan del gruppo, è il loro disco hard folk per eccellenza, capace di unire le due anime del complesso in modo ingegnoso ed emozionante a partire dalla strepitosa title track. È anche l'ultimo lavoro col bassista-seconda voce Jeffrey Hammond, che lascia a dicembre dopo 5 anni e 5 album fra i più amati della formazione britannica.



(edizione estesa per il 40° anniversario qui: https://tinyurl.com/4rj3kyus)

Da "A Passion Play" in poi, nonostante buone vendite progressivamente (sic) in calo, i Jethro Tull si trovano in anni interlocutori ma sempre artisticamente proficui e felici come non mai. Se il periodo 1968-1970 è quello del folk blues jazz progressivo, essenzialmente in linea con le opere di Family, Traffic, Audience e simili gruppi della prima onda che conduce dalla psichedelia al progressive britannico, quello che si apre con "Aqualung" nel 1971 e si chiude con "Stormwatch" nel 1979 è quello della fase più propriamente prog rock della loro carriera.

"Minstrel in the Gallery" si colloca esattamente a metà del guado, in quel 1975 che sta per partorire la rivoluzione punk che tante difficoltà creerà a un genere già in declino. Eppure, il declino del prog non compare sulle due facce di "Minstrel in the Gallery", ennesimo autoritratto del padre-padrone del complesso Ian Anderson, geniale e prolisso compositore e flautista, cantante dall'estensione vocale limitata ma dal timbro caldo ed espressivo, capace di tessere di sé e del proprio gruppo un ritratto meraviglioso già nel brano eponimo dell'album, tra una prima parte acustica e solista in cui Anderson si descrive come un menestrello di una età passata indefinita (medievale? rinascimentale? elisabettiano?) per poi richiamare il resto del gruppo a sé e lasciarlo sfogare in un'ordalia di riff elettrici di chitarra (Martin Barre) e basso (Jeffrey Hammond) di rimarchevole inventiva.

La canzone fa da modello per tutto il disco, che si caratterizza per un suono hard folk dove il primo termine non va inteso come un aggettivo applicato al secondo, bensì vanno considerati alternati e complementari. Proprio come in "Minstrel in the Gallery", anche in "Cold Wind to Valhalla" e nelle varie sezioni di "Baker Street Muse", la suite che occupa gran parte della seconda facciata, il gruppo si esprime facendo seguire una fase hard rock a una folk (talvolta sfruttando anche l'uso di un quintetto d'archi), con risultati egregi.

A contribuire a variare il suono del disco troviamo "Black Satin Dancer", il pezzo più propriamente prog rock del disco, e due ballate folk, la delicata e struggente "Requiem" e le due parti di "One white duck/O^10 = Nothing at all", la seconda delle quali decisamente meno convincente della prima, che seguiva invece gli stilemi (e i buoni risultati) di "Requiem" stessa. Rimane fuori dal disco, purtroppo, la bellissima canzone d'amore in toni british folk "Summerday Sands", pubblicata su EP, che si può però recuperare in varie antologie e nell'edizione del quarantennale dell'album.

"Minstrel in the Gallery" prosegue la striscia di dischi di valore dei Jethro Tull aggiornando con successo lo stile hard folk che aveva caratterizzato il loro massimo successo commerciale, "Aqualung" (1971). Purtroppo si tratta anche dell'ultimo lavoro con il bassista Jeffrey Hammond, che lasca il complesso alla vigilia della registrazione del nono album in studio, "Too old to rock'n'roll, too young to die".

- Prog Fox

#jethrotull:
#iananderson (voce, flauto traverso & chitarre acustiche)
#martinbarre (chitarre elettriche)
#johnevan (pianoforte & organo)
#jeffreyhammond (basso elettrico; contrabbasso)
#barriebarlow (batteria & percussioni)

ospiti: #deepalmer (aka #davidpalmer; arrangiamento e direzione archi) #ritaeddowes (violino) #elizabethedwards (violino) #patrickhalling (violino) #bridgetprocter (violino) #katharinetullborn (violoncello)

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