giovedì 11 settembre 2025

Blur: "the Great Escape" (1995)

Trent'anni fa usciva "the Great Escape", quarto album dei Blur e uno dei dischi fondamentali del brit pop. I singoli "Country House" (primo #1 in classifica dei Blur), "The Universal", "Stereotypes" e "Charmless Man" entrano tutti nella top ten britannica.



(disco completo qui: )

Agosto 1995, mese e anno fondamentali per ogni fan del Britpop degno di questo nome. Un mese di passione e di fuoco, un mese che è entrato di diritto nella storia della musica: l’estate caldissima della celebre “Battaglia del Britpop”. ‘Si, va bene, ma stai calmo’, potrebbe affermare qualche lettore non in sintonia col genere. Tutto sommato l’enfasi è davvero fuori luogo, passati 30 anni, ma facciamo un passo indietro. Definiamo i termini, prima di tutto: la “Battaglia del Britpop” è stata una sfida musical-mediatica (ma molto più mediatica) fra i due giganti della scena, ovvero Blur e Oasis. Il picco della rivalità avviene appunto nell’estate del 1995, coi giornali che alimentano a suon di articoli e virgolettati una rivalità musicale, sociale e perfino regionale (giuro). Ve la immaginate? Massì, è il solito Nord contro Sud, working class contro middle class, Manchester contro Londra, etc... Ve la riassumo in poche parole: il 14 agosto i Blur pubblicano il singolo “Country House” mentre gli Oasis lanciano “Roll With It”. Mossa intenzionale, voluta dai Blur per affrontare direttamente gli Oasis.

La battaglia ha termine solo 6 giorni dopo, il 20 agosto, i Blur in vetta con circa 274.000 copie vendute, contro le 216.000 copie di Oasis: quindi, conti alla mano, i Blur vincono la battaglia. Tuttavia gli Oasis vincono la “guerra” nel lungo termine, perché con “(What's the Story) Morning Glory?”, pubblicato poco dopo, superano i Blur in popolarità e lascito culturale. La definitiva capitolazione è stata certificata solo recentemente, dallo stesso Damon Albarn che, dopo aver assistito al colossale - fuckin’ biblical (sic) – concerto reunion dell’estate 2025 ha chiuso la vexata quaestio: “Oasis won the battle, the war, the campaign, everything.”. Fine del riassuntone, parliamo di “The Great Escape”, l’album dei Blur che contiene appunto il singolo “Country House”.

Quarto album in studio, completa la cosiddetta “trilogia Britpop” iniziata con “Modern Life Is Rubbish” (1993) e “Parklife” (1994), ma in tutta sincerità questo è l’unico album genuinamente Britpop dei Nostri. I Blur non sono mai stati incasellabili in questo fenomeno musicale. Sicuramente, sulla scia del successo di “Parklife”, i Blur sono diventati uno dei gruppi di punta del “Cool Britannia”, portabandiera di una rinascita pop ironica e colorata, necessaria come l’aria dopo la clausura autoimposta dal grunge nella prima metà degli anni ’90. L’album debutta direttamente al numero 1 in classifica nel Regno Unito ed è un grande successo commerciale in Europa (triplo disco di platino). La band gode di una popolarità massiccia, ma soffre anche forti pressioni artistiche: Damon Albarn sente il dovere di superare “Parklife”, mentre il chitarrista Graham Coxon inizia a mostrare insofferenza verso i cliché asfittici del Britpop (come volevasi dimostrare). Di fatto, nel successivo “Blur” (1997), il gruppo cambierà direzione virando verso sonorità più sperimentali e alternative, più consone al loro stile originario.

Musicalmente e culturalmente, “The Great Escape” ha la struttura di un concept album. Manifesto essenziale dell’Inghilterra della metà anni ’90: orgogliosa rinascita per l’ex impero, tra musica, arte e moda, ma anche cinismo strisciante e ansie nascoste. L’album dipinge un affresco satirico della società inglese del periodo, toccando temi di lotta sociale, alienazione urbana e potere dei media. Damon Albarn adotta uno stile da cronista pop: racconta personaggi e situazioni tipicamente british, spesso estremizzati in chiave grottesca ma riconoscibili nella realtà quotidiana. C’è il ricco uomo d’affari che fugge dalla città rifugiandosi in campagna imbottito di antidepressivi (“Country House”), il borghese arrogante e vuoto di valori (“Charmless Man”), la coppia di lavoratori che non riesce mai a vedersi per via dei turni estenuanti (“Yuko and Hiro”), oppure il patito di tecnologia e status symbol che vive “a palla” (“Globe Alone”). Non mancano riferimenti concreti alla cultura popolare dell’epoca: la mania per la “National Lottery” (“It Could Be You” riprende ironicamente lo slogan pubblicitario), il boom degli psicofarmaci e antidepressivi (“he's reading Balzac, knocking back Prozac”), l’esplosione della TV satellitare e dell’intrattenimento usa-e-getta (“The Universal”). Proprio in quest’ultimo brano, Albarn immagina un futuro distopico in cui la popolazione vive perennemente sedata da una “medicina del buonumore”, con karaoke, TV via cavo e lotterie a fare da anestetico collettivo. Vi ricorda qualcosa?

Intriso di melodie orecchiabili e arrangiamenti vivaci, l’album trasmette una visione pesantemente disillusa e lucidamente profetica: dietro la facciata british colorata affiorano solitudine, noia ed inquietudine. Come ha scritto “Rolling Stone”, l’album descrive il mondo con un’ironia e un cinismo peculiari. Questa vena satirica non è fine a sé stessa, ma rappresenta la risposta di una generazione che, tra recessione economica dei primi ’90, incertezza politica ed eventi traumatici come la guerra in ex-Jugoslavia, sviluppa un nuovo pessimismo di fondo. Come a dire, il grunge non muore mai, ma torna in circolo: cambiano gli arrangiamenti. Rimane quindi la “grande fuga”, evocata dal titolo, ovvero il desiderio collettivo di evadere da una realtà percepita come opprimente. Anche la copertina dell’album è emblematica: mostra dei giovani su un motoscafo, con uno di loro che si tuffa in mare verso la libertà; ma all’interno del CD una foto subacquea rivela la presenza di uno squalo in agguato e la scritta “The End”, suggerendo che sotto l’allegria superficiale si nasconde un pericolo incombente. Un’immagine metaforica della condizione dei ragazzi anni ’90: sospesi tra euforia spensierata e il presentimento di minacce oscure sul futuro. Oggi le minacce si sono concretizzate e per i millennial lo squalo starebbe benissimo in copertina. Non c’è manco la banconota appesa all’amo da seguire. Per questo e per molti altri motivi, bisogna riprendere e riascoltare “The Great Escape”, e di corsa… Perché al giorno d’oggi, dato che il grottesco è rimasta l’unica chiave di lettura di questi pazzi anni ’20, ci sentiamo ancora in trincea coi ragazzi di Albarn: terrorizzati, narcotizzati, pieni di pillole (sdoganate), confusi dal rumore incessante delle fake news, ma sempre con tanta, tanta, troppa voglia di scappare via da questa valle di lacrime. “Caught in a rat race, terminally.”

- Agent Smith

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