venerdì 13 settembre 2024

Built to Spill: "There's nothing wrong with love" (1994)

Usciva trent'anni fa oggi "There's nothing wrong with love", secondo album degli americani Built to Spill. Disco clamoroso, rappresenta la consacrazione critica del rinnovato terzetto (con Brett Nelson che sostituisce Brett Netson al basso e Andy Capps che sostituisce Ralph Youtz alla batteria) dopo l'esordio dell'anno precedente ("Ultimate Alternative Wavers"), in uno stile che è già post-grunge e che anticipa gli anni zero, ma con l'energia degli anni novanta e senza l'astenia del gruppo indie medio.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/3kv5ymkz)

"There's nothing wrong with love" è il secondo capitolo della trilogia formativa con cui i Built to Spill rivoluzionarono la musica indie integrando in particolar modo la voce e la chitarra del leader e cantante Doug Martsch, novello Neil Young del grunge, sul tappeto di un college rock schizofrenico e talmente complesso nelle sue figure ritmiche da risultare uno dei genitori più nobili del post rock. Il gruppo è tutto cambiato: Brett Netson (che rientrerà in formazione dopo l'incisione dell'album) viene sostituito da Brett Nelson al basso (Nelson in compenso rimarrà con Martsch per diciotto anni) mentre alla batteria Andy Capps prende il posto di Ralph Youtz, cognato di Doug (con cui comunque continuerà a lavorare in diversi progetti, primo fra tutti tre album e diversi tour con gli Halo Benders).

Almeno metà disco è di livello assoluto: la scanzonata e sensibile "In the morning", la solenne e innodica "Car", la letargica "Cleo" con il suo finale da apocalisse pachidermica e inesorabile, la sarcastica scalata da cane a lingua di fuori di "Some" e l'hard rock meditabondo di "Stab" sono miniature meravigliose di post grunge, cantautorato e sonorità post rock ante litteram, che contengono la stessa emotività degli indie anni zero senza però l'affettazione: saranno le chitarre elettriche oppure il fatto che questi campagnoli dell'Idaho hanno la testa più dura dei mollaccioni di città che ne vorranno ereditare il sound, ma le voci di Martsch e dei suoi compagni risuonano squillanti e sincere, cariche di vita e trasporto. Fattore di novità e garanzia di altissimo livello l'aggressività che ne traspare, che si sostituisce con efficacia all'esuberanza giovanile del disco d'esordio. Le linee di basso della strofa e i coretti sullo sfondo della deliziosa "Reasons" sembrano invece provenire dal baroque pop psichedelico degli anni sessanta.

L'unico, piccolo difetto sta nel fatto che altre canzoni, come "Big Dipper" o "The Source", risultino fra le più deboli di questa prima fase della band, forse perché un po' troppo semplicistiche; e il gruppo ha bisogno di spazio per respirare e complessità per esprimere il mondo che ha dentro.

Il disco si chiude infine con lo scherzo di un medley che presenterebbe un terzo lavoro dei Built to Spill e che include frammenti di canzoni: ma nessuno di questi frammenti è più che questo, le canzoni non esistono e nemmeno il nuovo album in uscita a ottobre...

Nel corso dei tre anni successivi, i Built to Spill lavoreranno perlopiù dal vivo, senza fretta di pubblicare un nuovo lavoro, forse per le paure del leader Martsch, che dichiara: "That was the last record when I was able to make music without thinking a lot of people would hear it. It makes a difference. I’d like to think it doesn’t, but it does".

Qualunque sia il motivo di questa cautela, dopo l'abbandono di Capps, sostituito da , il gruppo realizzarà il suo capolavoro assoluto, uno dei dischi più grandi e misconosciuti degli anni novanta: "Perfect from now on".

- Prog Fox


#builttospill: #dougmartsch (voce & chitarre)
#brettnelson (basso elettrico)
#andycapps (batteria)


ospiti:
#waynerhinoflower (chitarre; basso)
#johnmcmahon (violoncello)
#gretchenyanover (violoncello)
#ericakre (percussioni)
#chadshaver (chitarre su #13)
#lukewmidkiff (piano & tastiere)

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