domenica 31 dicembre 2023

Mino di Martino: "Alla Periferia dell'Impero" (1983)

Nel dicembre di quarant'anni fa viene inciso "Alla Periferia dell'Impero", album solista di Mino di Martino, membro fondatore dei Giganti e collaboratore di lunga data del cantautore catanese Franco Battiato. Di Martino incide a Milano proprio assieme alla squadra di Battiato stesso, a partire dal chitarrista Alberto Radius, che mette anche a disposizione il proprio studio di registrazione. L'album, una piccola gemma sconosciuta, si può così inquadrare in quel movimento musicale che fa capo a Battiato e al suo produttore storico Angelo Carrara, sebbene Di Martino porti in dote al progetto la sua forte personalità e una serie di canzoni brillanti e fortemente critiche nei confronti della società italiana, tipiche di un impegno sociale iniziato al tempo di "Terra in bocca" (1971).



(disco completo qui: http://tinyurl.com/4wtwct7e)

Nato nel 1944 a Milano, siciliano da parte di padre, Giacomo di Martino inizia prestissimo la carriera musicale, nel 1960, incidendo singoli di scarso successo e poi entrando come chitarrista in varie formazioni di accompagnamento (tra cui a Ghigo Agosti e Guidone); nel 1965 il gruppo con cui suona cambia nome in Giganti e inizia a lavorare in proprio, raggiungendo il successo nel beat italiano e poi spegnendosi nel 1971-1972 dopo l'insuccesso del piccolo capolavoro prog-cantautoriale "Terra in Bocca", tra i primi album-denuncia contro la mafia in Italia, e per questo censurato e boicottato in un paese ancora troppo omertoso.

Ritiratosi nella propria dimensione personale, Di Martino si dedica alla ricerca musicale con formazioni sperimentali come i Telaio Magnetico (con la moglie Terra Di Benedetto e l'amico Franco Battiato) e l'Albergo Galattico Interspaziale (ancora con la moglie). In seguito alla svolta pop di Battiato, anche Di Martino ritorna alla forma canzone, scrivendo per e assieme a Giuni Russo, Alice e Battiato stesso. Sull'onda di queste collaborazioni, Di Martino decide di incidere la sua propria interpretazione della rivoluzione pop-cantautoriale alla quale sta contribuendo. Nasce così "Alla Periferia dell'Impero".

Il disco viene inciso nello studio di Radius che ha visto realizzare buona parte dei capolavori battiatiani di quegli anni, Alberto Radius stesso mette a disposizione la sua inconfondibile chitarra, e tra i musicisti troviamo molti degli uomini storici di Franco, dal tastierista Filippo Destrieri al bassista Paolo Donnarumma (che si alterna con un altro mago del basso come Stefano Cerri) al batterista Alfredo Golino, oltre a un amico di vecchia data di entrambi come Lino 'Capra' Vaccina e al sassofonista Claudio Pascoli, sessionman onnipresente negli anni settanta e ottanta italiani.

Rispetto al Battiato individualista ed estetizzante del 1983 ("Orizzonti Perduti"), Di Martino, pur condividendone gli equilibrismi verbali e il citazionismo enciclopedico, oltre a un certo pessimismo di fondo, aggiunge toni più cupi e plumbei, soprattutto nell'ordine delle liriche, che declama con voce baritonale gradevole e infusa di una graffiante carica morale, meno distaccato rispetto ai mali del tempo del più filosofico Battiato. Le sue sono canzoni di denuncia della decadenza morale del paese, paese che percepisce chiaramente 'alla periferia dell'Impero', dove l'Impero è ovviamente quello statunitense.

Terrificante esempio di questa volontà di guardare l'immoralità negli occhi senza giri di parole è "Garçonniere", forse la prima delle denunce musicali del craxismo appena sorto al potere ('ti spacco il culo bimba, ritornello di un deputato alla sua giovane amante ragazza proletaria; ma è molto democratico, al padre ha trovato un lavoro, la madre finalmente ha preso la pensione'); nei promo il brano si chiama ancora "Ti spacco il culo bimba", prima che la casa discografica lo riporti a un titolo più mite e spendibile sul retro di una copertina.

L'album si era aperto con "Domani", brano accattivante e quasi estivo caratterizzato da un bel riff di sax e da un ritornello indimenticabile, degno delle migliori canzoni estive dell'amica Giuni; stesso tono quasi giocoso nella successiva "Giallo Tropicale", con Pascoli ancora a colorare in modo stupendo le anse fra le quali danzano figure delicate di sintetizzatori - ma sono giochi solo all'apparenza leggeri dai quali filtra una certa inquietudine, un po' come "Cards against humanity" ('domani andrò a combattere l'ultima guerra per la libertà di tutti', 'passi da un sogno a un altro sogno come le scatole cinesi, hai paura di risvegliarti, meglio dormire per non vedere niente, per non guardare in faccia la realtà, per non conoscersi mai').

Le canzoni manifesto della poetica del disco sono comunque il brano eponimo e "Io sono l'Europa" (probabilmente il brano musicalmente più complesso del disco, di cui sottolineiamo le prove alle marimba di Lino Vaccina e al sax di Pascoli), due canzoni che puntano la luce decisamente sulla cultura occidentale sul finire del secolo, con affetto, nostalgia e occhio critico. "Alla Periferia dell'Impero", in particolare, è la sua riflessione sull'influenza degli Americani sull'Italia, in particolare del suo crescente consumismo, una visione lucida sul futuro globalizzato ('impareremo dagli Americani a vestire italiano'), che si interseca al ricordo della crescita di un giovane negli anni cinquanta, la sua scoperta della musica rock, una riflessione cara a molti cantautori della sua generazione (si pensi al De Gregori di "Rollo & his jets", al Finardi di "Musica Ribelle"), il tutto sorretto da una musica elettronica nervosa e ossessiva splendidamente arrangiata.

Altra canzone di ordine superiore è "Basta con la musica giovane", improntata a un più malinconico disincanto; anche qui le riflessioni sono sul rapporto fra consumismo e arte ('sei solo un'indagine di mercato, nel consumare sei consumato'), sull'educazione dei giovani e sulla cultura giovanile e giovanilista, sulla volontà di fuggire dalla pazza folla ('andare al cinema nei giorni feriali, nelle sale deserte di prima visione [...] passi la tua vita dietro i vetri alla finestra piuttosto che guardare la televisione'), con un efficace lavoro alle percussioni elettriche da parte di Alfredo Golino. Meno riuscita "1984", forse l'unico momento ridondante dell'album, troppo esplicita nel suo desiderio di essere profetica ma non sorretta, questa volta, da una ispirazione melodica all'altezza, troppo schiacciata dal ruolo eccessivo delle liriche.

Il disco si chiude poi con l'amarezza devastante di "Commissario fammi volare", titolo dal quale è difficile non desumere un riferimento all'episodio del defenestramento dell'anarchico Giuseppe Pinelli dalla finestra dell'ufficio della stazione di polizia del commissario Calabresi (15 dicembre 1969), momento simbolo drammatico degli anni di piombo. Anche qui le liriche, improntate a un crudo realismo di matrice pessimista ('folla che grida -lasciateli a noi!-, il più giovane si spara nel ventre'), tradiscono lo sguardo limpido e morale di Mino, sottolineate ancora una volta da una musica quantomai appropriata ed efficace, che come tutto l'album rimane calata nel suo tempo (gli anni ottanta) senza risultata datata, grazie all'integrazione efficace tra strumentazione analogica ed elettronica e alla lucida visione artistica del suo autore.

Disco che ovviamente scomparì senza lasciare praticamente traccia, è un album imperdibile per gli amanti del Battiato della stagione classica, testimonianza del valore di un grande e poco conosciuto autore della musica italiana, che va assolutamente riscoperto, non solo un membro dei Giganti o un mero collaboratore di Battiato, ma una stella che sa brillare di luce propria.

- Prog Fox



Tutte le canzoni composte da Mino di Martino.

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