Esce l'8 novembre di trent'anni fa "The Buddha of Suburbia", album in studio di David Bowie, nato inizialmente come colonna sonora dello sceneggiato omonimo della BBC, a sua volta trasposizione del romanzo dello scrittore Hanif Kureishi. Gran parte del disco in realtà non venne utilizzata per lo sceneggiato, e risulta una delle più felici e sperimentali creature di David Bowie, anche simbolo della sua ritrovata vena creativa, che coincide non casualmente con il ritorno del rock chitarristico a seguito dell'esplosione del grunge.
(disco completo qui: https://tinyurl.com/mr389vwy
Il nadir creativo di David Bowie è di solito identificato con la seconda metá degli anni '80, ma ancora all'inizio del decennio successivo il camaleonte del rock appariva come una celebritá ormai lontana dal suo prime. Nella seconda metá dei '90s, Bowie sará prepotentemente tornato alla ribalta, complice il ciclone Grunge e la conseguente recrudescenza degli anni '70 rockettari, di cui lui fu (ed è) uno dei santi patroni. Araldo di quel ritorno non è il trascurabile "Black Tie White Noise" uscito ad aprile 1993, bensí la colonna sonora di uno sceneggiato TV della BBC, di cui mutua anche il nome: "Buddha of Suburbia", come i piú alfabetizzati tra i lettori avranno giá intuito. La parte migliore del serial, e del romanzo da cui è adattato, è senza ombra di dubbio il titolo: lungi dall'essere un'avventura mistico/fantasy urbana intrisa di spiritualitá, "Buddha of Suburbia" è la storia, ampiamente autobiografica, di un ragazzo di origine mista pakistana/inglese nella Londra suburbana di fine anni '70, e la sua formazione religoso-erotico-sentimentale. Il "Buddha" del titolo è suo padre, trattato come un'attrazione e un "guru" dalla facoltosa cerchia sociale con cui entra in contatto tramite il suo lavoro da grigio burocrate, ruolo che questi cinicamente accetta senza crederci per un momento.
Se la materia del serial è men che eccitante e piuttosto cinica, lo stesso non si può dire della colonna sonora: forse libero dalle pressioni intrinseche alla realizzazione di un "album-album", il caro David si concede un'audace leggerezza cui non aveva attinto dai tempi della Trilogia Berlinese e del suo seguito "Scary Monsters", a questo punto della storia l'ultimo album inequivocabilmente creativamente ricco del Nostro. La parte del leone la fa non tanto il passato, che comunque è rievocato quando necessario ("The Mysteries", per esempio, è un eccelente update dei brani ambient di "Low" e "Heroes", e "South Horizon" suona come "Sailor's Tale" dei King Crimson, se il marinaio in questione fosse un po' sbronzo) quanto il presente e il futuro. Tra esperimenti dance/techno degni del Battisti bianco come "Dead Against It" e "Untitled No. 1", e quelli che ricordano i Depeche Mode come "Sex and the Church" (ma la stessa "Bleed Like a Craze, Dad" è l'anello di congiunzione tra "Scary Monsters" e "Songs of Faith and Devotion"), "The Buddha of Suburbia" È a tutti gli effetti un disco di rock elettronico di inizio anni '90, senza indulgere nell'eccesso di produzione che opprime "Black Tie White Noise". Se la title track è un mid-tempo un po' noioso, il cui tema è forse meglio servito come ambient in "Ian Fish Uk Heir", il vero elefante nella stanza è "Strangers When We Meet", il cui fascino è fuori dal tempo e sopra a qualsiasi standard, e dimostra che Bowie sa ancora scrivere canzoni eccezionali quando si avvicinava al mezzo secolo. Non si puó davvero esagerare l'importanza di "Strangers When We Meet" nella storia dell'artista: una seconda versione (largamente inferiore, secondo il parere di chi scrive) verrá inclusa in "1. Outside", l'album che rimette Bowie sulla carta geografica del rock che conta, cementandone il ruolo di guida ed esempio per una nuova generazione di rockettari vent'anni dopo il "Rock'n'roll suicide" di Ziggy Stardust, che avrà forse più tiro e più "pedigree" di "The Buddha of Suburbia" (inclusa la produzione di Brian Eno), ma che perderà l'immediatezza un po' naif di questa colonna sonora.
Il mix di pop sofisticato, rock graffiante e sperimentazione ambient è davvero come un ritorno a casa dopo anni di confusione e appannamento, tra la spirale discendente dell'uber-pop anni '80 prima e il purismo reazionario degli anni coi Tin Machine dopo. A conti fatti, nessuno degli album pubblicati negli anni '90 raggiungerà il livello dei classici degli anni d'oro (per quello toccherá aspettare altri vent'anni, con lo straziante uno-due finale di "The Next Day" e "Blackstar"), ma "The Buddha of Suburbia" é forse quello che piú ci si avvicina, che quasi raggiunge quella perfezione, magari piú per serendipitá che per intento vero e proprio. Ma di questo, onestamente, non crediamo importi davvero a nessuno.
- Spartaco Ughi
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