sabato 30 settembre 2023

Lucio Battisti: "Il nostro caro angelo" (1973)

Usciva nel settembre di cinquant'anni fa "Il nostro caro angelo", album del cantautore italiano Lucio Battisti. Uno fra i dischi sperimentali del cantautore reatino, famoso solo per la conosciutissima "la collina dei ciliegi" ma in realtà fra i dischi più cupi e oscuri della coppia Battisti-Mogol, caratterizzato però anche da improvvisi sprazzi di luce abbagliante.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/4e4a3tky

Per tutti, "Il nostro caro angelo" è solo l'album de "la collina dei ciliegi". Per molti, questo sarebbe già abbastanza. In realtà il disco è una ennesima boutade sperimentale del cantautore reatino, uno di quei momenti luminosi e corruschi insieme che fanno chiedere a chi lo ascolti come potesse essere derubricato a un personaggio pop e istituzionale. Vero che Battisti ha avuto, nella sua multiforme carriera, momenti in cui, più per caso che per scelta, le sue strade personali e solitarie hanno intersecato il mondo della canzone pop italiana. Ma è più il ritrovarsi per un momento insieme in un incrocio, di strade principali e secondarie, giusto il tempo di attraversarlo per poi riprendere i sentieri oscuri della propria musica.

Come si può definire diversamente l'arte del cut-and-paste burroughsiano che caratterizza canzoni come "Il nostro caro angelo" o "le allettanti promesse" (meraviglioso dialogo quasi pasoliniano tra Battisti e Wanda Radicchi/Mara Cubeddu)? Per non parlare di "Ma è un canto brasileiro", che sembra mettere in musica film anti-capitalisti e anti-pop come "Dillinger è morto" di Marco Ferreri? Le musiche sono irregolari e frastagliate, il canto di Battisti umorale, che passa da sussurri a falsetti, con saliscendi improvvisi. Le parole di Mogol, vero artigiano della lingua italiana, cesellate perfettamente per adattarsi ai temi sperimentali delle musiche. Impressiona anche il jazz rock latino di "Io gli ho detto no".

Il disco si chiude con la sconcertante "Questo inferno rosa", che nonostante qualche immagine un po' corriva di Mogol, sorprende per il lento climax e il finale quasi progressive, nel quale avremmo voluto che Battisti avesse lasciato maggiore briglia sciolta ai suoi musicisti (Bob Callero al basso, Gianni dall'Aglio alla batteria e Gian Piero Reverberi a piano elettrico e sintetizzatori; mentre Battisti stesso si occupa di suonare, con grande gusto, le chitarre elettriche).

Naturalmente la parte del leone la fa il brano di apertura, "la collina dei ciliegi", piccolo capolavoro folk pop messo lì forse quasi a scusarsi con il proprio pubblico e a incoraggiare ogni volta l'ascoltatore a cimentarsi con un disco sicuramente difficile, non sempre perfetto (la noiosa festa percussiva di "la canzone della terra") ma che saprà ricompensare l'ascoltatore impavido.

- Prog Fox

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