sabato 30 settembre 2023

Brian Eno: "Here Come the Warm Jets" (1973)

Nel settembre di cinquant'anni fa veniva inciso "Here Come the Warm Jets", primo album solista di Brian Eno, all'epoca transfuga dai Roxy Music. Il geniale architetto sonico realizza il primo capolavoro di una grandiosa carriera, mescolando prog rock, glam rock, space rock, Canterbury, sensibilità pop e musicisti di razza superiore (Robert Fripp, John Wetton, Phil Manzanera, Andy MacKay, Paul Thompson, Simon King, Paul Rudolph e molti altri).



(disco completo qui: https://tinyurl.com/5664333b)

Prima di diventare uno dei santi patroni della musica del '900, e prima della nomea di più grande produttore artistico sulla piazza; prima di collaborazioni leggendarie con John Cale, David Byrne, John Cage e Robert Fripp; prima del ruolo fondamentale nella definizione della nascente New Wave, sia da solo che con Bowie e i Talking Heads; prima di tutto ciò, Brian Eno era un bizzarro individuo dall'aspetto androgino, autoincaricatosi di portare una ventata di suoni alieni nei primi dischi dei Roxy Music. In seguito alla separazione, con contorno di dissapori, dal leader della band Bryan Ferry, Eno si mette in proprio e, nel manifesto programmatico del suo debutto (probabilmente gesticolato e danzato invece che scritto) c'è la rottura dei canoni della canzone pop, sottogenere glam-rock.

Radunato un ensemble di musicisti adeguatamente eterogeneo, che include membri dei Roxy Music (tutti meno Ferry), dei King Crimson (Robert Fripp, ovviamente, e il bassista John Wetton), degli Hawkwind (il batterista Simon King) oltreché che membri dei Matching Mole e dei Pink Fairies, le sessioni di registrazione assumono presto, secondo il racconto orale, connotati vieppiù estemporanei. Senza scivolare nelle interminabili jam session che la lista degli invitati fa presagire, Eno si accomoda prima al microfono, per declamare versi improvvisati, e poi in cabina di regia, per lavorare le tracce registrate durante le 3 settimane di sessioni, distillando 42 minuti di puro weird in un album che a 50 anni di distanza non perde nulla della propria elettrizzante sovversività.

Dalla proto-wave dell'apertura "Needle in the Camel's Eye" e "Blank Frank", al glam incendiario di "The Paw Paw Negro Blowtorch" e "Baby's on Fire", alla malinconia di "Cindy Tells Me" e dello strumentale "On Some Faraway Beach", fino alla title track che chiude la kermesse, "Here Come the Warm Jets" è un album visionario, di strappi e curve a gomito, metà continuazione dei Velvet Underground (di cui Eno stesso è fan accanito della prima ora) e metà stele di Rosetta di artisti come OMD, Tuxedomoon, Japan, Talking Heads, e molti, molti altri. Un disco che raccolse diverse recensioni entusiaste, ma più di qualche stroncatura (su Rolling Stones venne definito "noioso" e "senza idee"), e che potrebbe non essere per tutti. Caricatura del pop dei Beatles ed esercizio zen, quest'album è una miniera di dettagli sorprendenti e di strati che l'ascoltatore, come uno speleologo, deve esplorare scavando ripetutamente, con attenzione. Tutto ciò che rende speciale Brian Eno è già presente, in bella evidenza, a partire dal gusto per il paradosso sia "nella materia" (le linee melodiche sbilenche, gli accostamenti avventurosi, i testi surreali e spesso puramente nonsense) che al contorno, con la conflagrazione di un grande numero di musicisti con background e stili diversissimi, con l'intento esplicito di farne emergere qualcosa di inaspettato. Art Rock fuoriserie e opera con alta possibilità di indurre dipendenza, o rigetto.

- Spartaco Ughi

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