martedì 22 agosto 2023

Depeche Mode: "Construction Time Again" (1983)

Il 22 agosto di quarant'anni fa esce "Construction Time Again", terzo album dei Depeche Mode e primo che vede l'arrivo dell'arrangiatore e polistrumentista Alan Wilder, che giocherà un ruolo fondamentale nel gruppo per un decennio. Il disco viene pubblicato negli Stati Uniti il 7 settembre, giorno in cui a Hitchin, in Inghilterra, inizia l'estenuante tour mondiale del gruppo, che si protrae fino al 2 giugno dell'anno successivo. Il singolo di lancio è la strepitosa "Everything Counts", che raggiunge la sesta posizione delle classifiche britanniche.



(disco completo: https://tinyurl.com/59af368x)

La lunga transizione dei Depeche Mode, dal bubble-gum pop della hit “Just Can’t Get Enough” ai fasti di una delle carriere più longeve e di successo della storia del rock, ha nel 1983 un passaggio cruciale: il trio di “A Broken Frame”, orfano del leader della prima ora Vince Clarke, accoglie un quarto elemento che sarà strumentale per la definizione del suono dei Mode e, in una certa misura, quello degli Eighties tutti. Alan Wilder è autore di canzoni, musicista poliedrico e, crucialmente, interessato alla sintesi del suono, alle drum machines e al campionamento. Dopo il test su pista dell’eccellente singolo “Get The Balance Right!”, Wilder entra a pieno titolo nella formazione e, usando una metafora fumettistica, con lui a bordo le matite di Martin Gore, ovvero il suo songwriting, saranno finalmente rifinite da chine accattivanti (le ritmiche, creative ed utili a definirne il passo e l’andamento) e da colori saturi e ricchi (i suoni, forse la parte più importante dell’eredità dei Mode).

Non tutto funziona subito alla perfezione, ma quello che funziona è alta classe: il singolo di lancio “Everything Counts” è una delle migliori canzoni mai rilasciate dai Depeche Mode e farà parte delle tracklist live per lunghi anni a venire, incluso nel concerto americano immortalato nel doppio live “101”; l’altro singolo, “Love in Itself”, non è altrettanto perfetto ma mostra un’evoluzione importante nel suono della band, che si fa sempre più definito e vicino all’ideale platonico che rappresenteranno, senza disdegnare un po’ di sperimentazione atonale. Il lato A è ottimo nella sua interezza: oltre ai due singoli ci sono il post-punk sintetico di “More Than a Party” e la liturgica “Pipeline”, ed entrambe rappresentano nuove frecce nella faretra della band, “tipi” di canzone che verranno reinterpretate con sempre maggiore precisione col passare degli anni.

Il lato B è decisamente meno solido, e impedisce al disco di entrare nel novero degli intramontabili della band: dei due brani scritti da Wilder, “Two Minutes Warning” è un onesto mid-tempo synthpop, e “The Landscape is Changing” è un po’ ingenua nel suo testo, didascalicamente ecologista, ma viene riscattata da un arrangiamento all’avanguardia (David Byrne, decenni dopo, scriverà un’intro molto simile per il suo singolo “Everybody’s Coming to my House”); per il resto, “Shame” cerca di gigioneggiare, ma è più una fonte di imbarazzo che di divertimento, e “Told You So” e “And Then…” sono brani di synth-pop generico in cui si avverte il sentore dei Mode che verranno, ma la magia non è ancora qui. In tutto questo Dave Gahan è già riconoscibile ma dovremo aspettare ancora qualche anno per farci carezzare dal calore del suo baritono, qui ancora acerbo.

Uniti per la prima volta nella propria formazione leggendaria, i Depeche Mode ancora non sanno che la loro scalata all’olimpo della pop music è appena cominciata, e si accontentano di continuare a stare nelle classifiche. Il cambio di marcia è evidente, ma il ritrovato quartetto darà il meglio sulla distanza più che sullo sprint. Non vediamo l’ora di parlarvene.

- Spartaco Ughi

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