venerdì 21 luglio 2023

Super Furry Animals: "Phantom Power" (2003)

Vent'anni fa oggi veniva pubblicato "Phantom Power", sesto album in studio dei gallesi Super Furry Animals. L'eclettismo del gruppo e la sua inventiva melodica restano felici, ma il disco soffre un po' dell'eccessivo senso di rilassatezza, e forse della paura di esplorare reazioni chimiche più esplosive nella propria musica.



(disco completo: https://tinyurl.com/2d38n9ta)

Non nuovi a esercizi di stile, i gallesi Super Furry Animals, protagonisti della seconda ondata del brit pop, decidono di scrivere un disco tutto basato su una accordatura aperta di chitarra. Il cantante Gruff Rhys inizia a lavorare a diversi pezzi finché il gruppo non si stufa più o meno a metà del progetto e comincia a buttare dentro all'album qualunque idea bizzarra venga in mente a uno dei membri.

Nasce così "Phantom Power", disco che coniuga in sé il variegato eclettismo e le fascinazioni psichedelico-elettroniche che hanno sempre ricordato al vostro umile recensore le contemporanee esuberanze oltreoceano dei Flaming Lips. L'album non aggiunge particolari novità stilistiche al canone dei Pelosetti, specie se confrontato ai suoi predecessori "Mwng" (2000) e "Rings around the world" (2001), ma rappresenta quella rara cosa chiamata un bel disco fatto di canzoni stimolanti, ben composte e ben arrangiate. Con alcuni picchi illuminati e qualche momento di banalità evitabile (il cento volte già sentito rocker mid-tempo "Golden Retriever", che sarebbe stato corrivo anche sul peggior disco di Marc Bolan).

Il disco si apre in modalità estremamente amichevole e rilassata con la post-beatlesiana "Hello Sunshine" e con il brit pop addomesticato di "Liberty Belle", per poi appoggiarsi a una serie di brani minori come la già citata "Golden Retriever" e "Sex, War & Robots" (con la slide pinkfloydiana di Huw Bunford, anche voce principale della canzone). Meglio "The Piccolo Snare", che al di là di una abnorme durata di sei minuti presenta il primo ritornello indimenticabile dell'album.

"Venus & Serena", dedicato alle sorelle Williams, è classica perfezione brit pop, con un perfetto ritornello in crescendo splendidamente arrangiato sia per le voci che per gli strumenti dei membri del gruppo. Dopo un altro paio di pezzi, mi risveglia, paradossalmente, solo la letargica malinconia alla Electric Light Orchestra di "Cityscape Skybaby", mentre il lounge pop di "Valet Parking" mi lascia piuttosto indifferente nonostante il sensazionale lavoro percussivo nel finale di Dafydd Ieuan. Meglio il corale ubriaco da osteria di "The Undefeated", sebbene non sia la prima volta che troviamo discutibile l'uso dei fiati in un pezzo dei Pelosetti (dov'è finita la deliziosamente incompetente tromba melanconica di "Mwng"?).

A chiudere il lavoro e sugellarne l'eclettismo c'è "Slow Life", una tessitura ambient elettronica composta da Cian Ciaran sulla quale improvvisa con esiti interessanti il resto del gruppo, che si pone in linea con i due strumentali "Father Father", intermezzi validi che forse si sarebbero potuti esplorare con più calma dedicando loro un minutaggio più ampio.

"Phantom Power" è considerato uno dei migliori album del gruppo, per alcuni critici il migliore. Forse questo è più dovuto alla sua gentilezza sonora, perlopiù mancando le bizzarrie più estreme e le angolature più sghembe dei dischi precedenti. Se questo sia un merito o un difetto del disco, sta al singolo ascoltatore giudicarlo. Questo singolo ascoltatore lo trova un grosso difetto.

- Prog Fox

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