domenica 11 giugno 2023

Talking Heads: "Speaking in Tongues" (1983)

Usciva nel giugno di quarant'anni fa "Speaking in Tongues", quinto album dei Talking Heads, uno dei gruppi di punta della new wave americana. Riducendo le influenze tribali e world music, i Talking Heads rimettono in pista un funk-pop sbilenco e relativamente leggero: è il loro capolavoro pop.



(disco completo: https://tinyurl.com/yck656bw)

Quando "Speaking in Tongues" arriva nei negozi, nel giugno del 1983, i Talking Heads sono giá da anni una superpotenza della New Wave americana. Non è tanto l'improbabile mash-up di cinismo punk, algido sperimentalismo e ritmi funk e tribali a rendere speciale il quartetto dell'east coast, quanto il fatto che a tenere insieme questo mostro di Frankenstein di influenze sia un'attitudine nevrotica e alienata, probabilmente dettata dalla particolare percezione del mondo di David Byrne, che ha in tempi recenti fatto coming out a proposito del suo essere sullo spettro dell'autismo. I Talking Heads sono diventati una delle band simbolo della New Wave americana grazie soprattutto all'esplosiva, intransigente visione creativa di "Fear of Music" e "Remain in Light", inesauribile fonte di ispirazione per molte band dell'epoca e ancora di piú per le band di oggigiorno.

Esaurita la collaborazione, nelle vesti di produttore, di Brian Eno, il quartetto (oltre a Byrne, impegnato con voce, chitarra e balletti isterici, la band è formata da Chris Frantz alla batteria, Tina Weymouth al basso e Jerry Harrison alla chitarra) si trova nella posizione di dover mettere insieme un seguito a due degli album piú originali della storia del Rock. La soluzione, forse controinutitiva, è un ritorno alle origini: riducendo le influenze tribali e world music, i Talking Heads rimettono in pista un funk-pop sbilenco e relativamente leggero. L'opening "Burning Down the House" racconta bene di un approccio piú easy-listening, rispetto allo shock uber-intellettuale di "Fear of Music" o all'alienante ritmo sincopato di "Born Under Punches"; Tom Jones e i Cardigans ne rilasceranno una cover piuttoto pedissequa quasi vent'anni dopo, a rimarcare che, per quanto obliquo, siamo in territori confortevolmente pop. I ritmi funk ballabili la fanno ovviamente da padrone, e non mancano altre influenze di musica nera, dal coro gospel di "Slippery People" alla psichedelicissima dub di "I Get Wild/Wild Gravity", per non parlare dell'R'n'B "Swamp". E se non tutte le canzoni brillano altrettanto intensamente ("Moon Rock" e "Pull Up the Roots"), il disco scivola piacevolmente fino al delizioso pop di "This Must Be the Place", con pieno merito uno dei brani piú famosi delle Teste Parlanti.

Volendo lavorare di proporzione, si puó paragonare "Speaking in Tongues" al "Lodger" di David Bowie, fratello minore di una trilogia di capolavori che ha definito un'epoca e una carriera: in (moltissime) altre discografie, sarebbe il fiore all'occhiello; in questa specifica discografia, è oscurato dalla luce dei suoi predecessori. Da questo punto, i Talking Heads abbandoneranno sempre piú le velleitá sperimentali per abbracciare un pop sofisticato, senza mai scadere nell'indolenza e, anzi, producendo perle di musica popolare. "This Must Be the Place", col suo parterre di ospiti d'eccezione e con il suo approccio più rilassato, è solo l'inizio.

- Spartaco Ughi

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