sabato 17 giugno 2023

Police: "Synchronicity" (1983)

Usciva quarant'anni fa oggi "Synchronicity", allo stesso tempo il maggiore successo e l'ultimo album della carriera dei Police. Il burrascoso, litigioso trio formato dal cantante-bassista Sting, dal chitarrista Andy Summers e dal batterista Stewart Copeland si sarebbe disintegrato per problemi di ego, ambizioni soliste di Sting e animosità dietro le quinte (Sting e Copeland vengono quasi alle mani durante la registrazione di "Every Breath You Take", fraintesa come canzone romantica quando parla di uno stalker). Il disco, però, quinto della loro incredibile eppure breve discografia, è fenomenale.



(disco completo: https://tinyurl.com/mrbuybsf)

Dopo quattro album la forza creatrice dei Police rimane vitale, ma ha bisogno di rinnovamento. Purtroppo l'ostacolo principale alla riuscita del processo evolutivo del gruppo è la litigiosità del trio, qualcosa che trova forse come principale antecedente quello di un altro power trio del rock come i Cream. Il cantante-bassista (Gordon Sumner detto) Sting vuole esercitare un assoluto controllo del materiale pubblicato e tende a sfavorire sempre di più quello scritto dal chitarrista Andy Summers e dal batterista americano Stewart Copeland. Questo, dalla sua posizione di vantaggio di essere la voce del terzetto e il belloccio di turno - entrambe cose che fanno vendere più copie e lo mettono in una posizione di forza che genera estremo risentimento nei suoi altrettanto creativi e geniali colleghi.

Il tema portante del disco sarà la sincronicità, concetto psicologico di cui si innamora Sting e che riguarda un po' l'idea delle coincidenze come punto di incontro di flussi che quindi assumono una particolare rilevanza. O roba fumosa del genere, sulla quale Sting scrive ben due canzoni, essenzialmente la versione new wave nevrotica e la versione arena rock anni ottanta, destinata a vendere anche grazie a un video strabiliante di Russell Mulcahy (videomaker australiano di grande talento che di lì a poco farà anche il regista cinematografico con il mirabolante fumettone "Highlander - l'ultimo immortale").

Il vero singolone di successo del disco però è "Every breath you take", che, ribaltando il punto di vista di "Don't stand so close to me", vede Sting non più oggetto ma soggetto del desiderio, un soggetto nervoso e ossessionato, quello che oggi si potrebbe chiamare tranquillamente uno stalker, esprimersi in una ballata ossessiva punteggiata da un indimenticabile giro di chitarra e fraintesa, forse per una mai ammessa ma evidente malizia di Sting e dei suoi sodali, come una romantica canzone d'amore.

Ai suoi sodali, Sting lascia solo bruscolini: la delirante "Mother", da molti considerato il peggior pezzo dei Police, firmata e cantata da Summers, e la brillante "Miss Gradenko", nella quale il sempre sornione e ironico Copeland conferisce il proprio contributo compositivo dalle influenze world music, in linea con diverse fra le canzoni del disco.

È chiaro infatti che l'apertura al mondo nata con la new wave ed emergente nella musica pop degli anni ottanta gioca un ruolo di primo piano in diverse fra le canzoni: oltre alla citata "Miss Gradenko" (con un assolo virtuosistico di Summers), "Walking in your footsteps" (con tamburi e flauti di influenza africana) e "Tea in the Sahara", quest'ultima ispirata alla leggenda delle tre sorelle nordafricane riportata nell'omonimo romanzo di Paul Bowles. Sono influenze che proseguiranno nella carriera solista di Sting, della quale "Synchronicity" col suo successo diventa di fatto trampolino di lancio.

Oggi, forse solo a posteriori, è chiaro che "Synchronicity" sia il più commerciale dei dischi dei Police; ma non era altrettanto chiaro che lo fosse all'epoca. Sperimentazioni come "Synchronicity I", "Walking in your footsteps", "Mother", "Miss Gradenko" e la new wave isterica e sgraziata di "O My God" sono scommesse a malapena compensate dall'attrazione pop esercitata da "Synchronicity II", "Every breath you take", "King of Pain", "Tea in the Sahara" e "Wrapped around your finger". Non si tratta certo di un disco piacione, anche se Sting gigioneggia incontrastato lungo i suoi singoli.

Eppure, che piaccia o meno, si tratta di uno dei dischi più importanti del decennio, necessario anche come punto di recupero e transizione dall'abuso di macchinari, ai quali il trio meritoriamente non si era mai piegato, verso un recupero della musica suonata che stava attraendo americani e inglesi nuovamente, tra heavy metal, college rock e il ritorno di certi dinosauri mai sconfitti, a cui i Police, ormai in sella da oltre un quinquennio di musica alieno alla dance e al synth pop, certamente dovevano sembrare appartenere.

- Prog Fox

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