mercoledì 29 marzo 2023

Suede: "Suede" (1993)

Usciva trent'anni fa oggi il primo album eponimo dei britannici Suede, destinati a diventare una delle band più iconiche del brit pop. Guidati dalla collaborazione creativa tra il cantante Brett Anderson e il chitarrista Bernard Butler, la band vende 100'000 copie del disco nella prima settimana dalla pubblicazione, segnando uno dei momenti topici della nascita del brit pop come movimento dominante nel Regno Unito. Una collaborazione destinata a non durare a lungo, dati i contrasti fra il cantante-viveur ossessionato dallo star system e dai fiori del male, da Bowie e da Morrison, e il chitarrista, concentrato unicamente sulla propria musica.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/mdb8p4x5)

Quando si parla di Britpop, inevitabilmente, si parla della cosiddetta “guerra” eponima, quella tra gli Oasis e i Blur per il trono d’Inghilterra. Quello che si dimentica quando si parla di questo derby Londra/Manchester, vieppiù, è che né l’una né l’altra sono state pioniere della scena. A mettere al mondo il nuovo genere, dopo anni di stagnazione della scena rock britannica (specie se paragonata alla fiorente industria del grunge, oltreoceano), è un quartetto londinese che si ispira al rock di inizio anni ’70 (Bowie, ovviamente, con una spruzzata di T-Rex), ma anche al songwriting di qualità dei Cure e degli Smiths, filtrandoli attraverso umori (e suoni) del nuovo decennio. Gli Suede di Brett Anderson (voce) e Bernard Butler (chitarra, piano, violino e cori) pubblicano il loro esordio eponimo nell’aprile del 1993, dopo aver passato l’anno precedente impegnati in un tour nazionale che li lancia come sensazione futura e speranza della scena.

“Suede” tradisce tutto l’entusiasmo post-adolescenziale di quattro ragazzi (oltre ai due succitati ci sono il bassista Mat Osman e il batterista Simon Gilbert) che evidentemente sognavano di fare rock; fortunatamente, tali ambizioni sono supportate da un talento evidente. Ci sono ballad sofisticate come “She’s not dead” e “Pantomime Horse”, la cui relativa oscurità quando si parla di rock anni ’90 è al limite del criminale; ci sono i singoli, alcuni davvero ben riusciti (“Animal Nitrate” soprattutto, ma anche “The Drowners” e “Metal Mickey”, usciti prima della release ufficiale), altri meno (“So Young”, che chi scrive trova noiosetta ma che è addirittura piazzata in apertura del disco); c’è il rock-rock di “Moving”, e il melò di “Breakdown”, tanto distanti come genere quanto omogenee nell’atmosfera e nel tiro.

C’è soprattutto il carisma dei due leader della band, il frontman Anderson e il multistrumentista Butler, capaci di infondere luce e personalità in un progetto che visto oggi, in retrospettiva, ha l’inevitabilità delle maree e dei cicli lunari, ma che allora poteva apparire come un rischioso esperimento. Che posto c’era per dei rigurgiti glam nel 1993, in un mondo (del rock) che si era da tempo spogliato ogni ammennicolo e e ghiribizzo, per riportare la “purezza” del rock nelle radio e su MTV? La risposta di “Suede” è, da un lato, la rivendicazione del lato edonistico e carnale del rock, come illustrato dal bacio in copertina, che potremmo quasi definire “genderfluid” ante litteram (e che fu sul momento censurato, perché le due figure androgine sono, a quanto pare, due donne), e dall’altro la più completa nudità anche dal punto di vista emotivo, infondendo i testi e le musiche di visioni conturbanti, spesso delicate e melanconiche ma a tratti morbose, in una maniera che non può non ricordare il miglior Lou Reed, che del Grunge è senz’altro uno dei padrini.

La band con questa formazione avrà vita brevissima (ma luminosa: ne parleremo), e sarà presto spinta ai margini in seguito all’ascesa dei più digeribili Oasis e degli altrettanto sofisticati, ma meno ambigui, Blur. Successe anche agli Suede ciò che accadde ad altre band di pionieri prima di loro (vengono in mente gli Ultravox): teste di ponte per il nuovo genere (qui il britpop, lì il synthrock), ma mai capaci di raggiungere lo stesso livello di successo dei campioni che verranno dopo di loro. Agli Suede va riconosciuta, però, un’originalità e uno stile che rimarrà unico nel panorama britannico, che dopo di loro sarà in larga parte basato sullo stile dei Beatles e delle altre grandi band della Swinging London. Ad Anderson e Butler, va riconosciuto il merito di aver scritto quest’album e il successivo, perle nascoste del rock inglese di fine millennio, e un’influenza sottile ed obliqua, che raggiungerà i decenni successivi in maniere inaspettate.

- Spartaco Ughi

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