mercoledì 8 marzo 2023

David Bowie: "The Next Day" (2013)

Usciva l'8 marzo di dieci anni fa "The Next Day", penultimo album in studio di David Bowie ed ennesimo comeback dell'artista più camaleontico del rock. Sequenza di canzoni eccellenti, in cui le ambizioni sperimentali si sono forse ridotte, perché in questa fase della propria vita è normale guardare più al passato che al tempo che resta - nonostante il titolo - e attingere all'oceano della propria esistenza per creare ancora qualcosa di meraviglioso. Sorprendente? Forse. Eppure nessuno con le rotelle a posto dovrebbe mai scommettere contro Bowie, nemmeno quando più vicino ai 70 che ai 60.



(disco completo: https://tinyurl.com/3pwkc2uc)

“Look into my eyes he tells her, I'm gonna say goodbye he says, yeah” pronuncia sardonico un “not quite dying” David Bowie nell’incipit e title track di “The Next Day”, venticinquesimo e penultimo album della sua carriera. Col senno di poi, sapendo che il nostro sarebbe scomparso da lì a pochi anni, è difficile non pensare che qualcosa dentro di lui deve aver capito che il tempo stava finendo, dandogli la spinta ad apparecchiare il gran finale, la ricapitolazione di una carriera unica e irripetibile, la sfilata di tutti i (personaggi di) David Bowie che si sono succeduti in oltre quarant’anni di caro David. Ma andiamo con ordine. La copertina, col suo beffardo post-it su quello che è probabilmente il ritratto più famoso del Thin White Duke, è davvero audace. Ma chi glielo fa fare, a Bowie, di riciclare in maniera così audace una tale icona della cultura popolare? Il sudore freddo del fan comincia a colare inesorabile già all’annuncio del disco, quando ci viene dato in pasto il malinconico singolo di lancio “Where are we now?”, una ballad dimessa che, pur finendo in crescendo, non sembra davvero discostarsi dal mood minore degli ultimi album dell’artista. Quando l’album esce, tuttavia, i dubbi vengono spazzati via da un disco di rock senza età.

I rimandi ai tempi che furono si susseguono e pervadono tutto l’album, tra reprise di vecchi temi musicali: la sezione ritmica della title track si mimetizzerebbe naturalmente tra i solchi di “Scary Monsters (& Super Creeps)”; lo stesso si può dire del drum’n’bass di “If You Can See Me”, reminescente di “Earthling”, e di “Dancing Out in Space” con il periodo glam; ci sono gli inevitabili (in senso positivo) rimandi alla Trilogia con “How Does the Grass Grow”, “(You Will) Set The World On Fire” e “Heat”, oltreché che i riferimenti a Berlino in “Where Are We Now?”, e il soul-eighties di “You Feel So Lonely You Could Die”. C’è un singolo di rock epico come “The Stars are Out Tonight”. C’è, pervasiva in tutti i 54 minuti del disco, la convincente sensazione che Bowie sia riuscito a rinascere ancora una volta, a 66 anni, pubblicando un disco rutilante, pieno non tanto di idee rivoluzionarie, ché il tempo dei changes a quel punto è finito da un pezzo, quanto di canzoni fresche e convincenti. Come un fiume, Bowie ha attraversato periodi di piena e altri di secca, non rimanendo mai uguale a se stesso; “The Next Day” e il seguente “Blackstar” rappresentano in questa analogia il mare, in cui tutto ciò che è stato si mescola, non come un patchwork di stili sovrapposti, ma come un distillato, in cui solo gli spiriti più sottili vengono raccolti, goccia a goccia, pronti ad invecchiare bene.

Una postilla per il personale coinvolto nell’avventura: a parte Tony Visconti, già col nostro in tanti dei suoi album migliori, un vasto parterre di musicisti eccezionali contribuisce a “The Next Day”: sia vecchie conoscenze del fu Ziggy Stardust, come la bassista Gail Ann Dorsey, da una vita “primo violino” tanto dal vivo quanto in studio; ci sono collaboratori storici come i chitarristi Earl Slick e Gerry Leonard, e ospiti di lusso come Tony Levin a.k.a. il miglior bassista del mondo, secondo chi scrive. Una sfilata di professionisti che contribuiscono tutti ad uno dei comeback più spettacolari della storia di quello sport estremo che è il Rock. Spettacolare ma non sorprendente, perché nessuno con le rotelle a posto dovrebbe mai scommettere contro Bowie, nemmeno quando più vicino ai 70 che ai 60.

- Spartaco Ughi

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