mercoledì 22 marzo 2023

Beatles: "Please Please Me" (1963)

Esce sessant'anni fa oggi "Please please me", primo album dei Beatles. Il disco segue di poche settimane il secondo singolo omonimo della formazione (il singolo d'esordio, "Love me do", era uscito a ottobre dell'anno precedente). Tolti i brani già usciti sui singoli, il resto dell'album, costituito complessivamente da otto brani scritti da Lennon/McCartney e sei cover, la più famosa delle quali "Twist and Shout", fu registrato l'11 febbraio, e poi completato il 20 febbraio da sovraincisioni curate dal produttore George Martin. Il disco ebbe un enorme successo, rimanendo in classifica per oltre un anno (un record non eguagliato per mezzo secolo) e creando due precedenti assoluti: primo, quello della rockband dedita principalmente a incidere pezzi propri. Secondo, quello di un gruppo rock orientato alla composizione e incisione di album invece che di singoli, una idea geniale di George Martin. Precedenti che segnano un momento di svolta assoluto nella storia della musica pop.



(disco completo: https://tinyurl.com/3budpzum)

Nella musica contemporanea è sempre un rischio essere entusiasti recensendo l’opera prima di un gruppo. Il rischio è palese, perché quella spontanea, roboante ed acerba recensione incapperà sempre una migliore critica posteriore. Ovvio, i critici successivi sono quasi sempre più razionali rispetto ai trionfali peana che li precedono. Questo è il grande problema: da critici non dovremmo mai entusiasmarci per un album che amiamo irrazionalmente, anche se – alla fine – non può essere che così. Nell’universo austero della critica non può esistere il mondo dei cosiddetti fanboy; questi vivono nella loro stanzetta e di solito ci stanno per decenni prima di urlare la loro inattaccabile critica al mondo.
Quindi non è il massimo vestire i panni degli zeloti della prima ora, rinchiusi in una grotta su Marte con le dita ben piantante nelle orecchie, sordi alle feroci critiche contemporanee. Però non è bello nemmeno essere costretti a criticare quell’opera tanto amata. Però forse, alla fine, conviene essere freddi, distaccati e oggettivi, privi di anima - materia così forviante per una giusta analisi – ed usare il solo rigido giudizio.
Avete letto questo preambolo, così pomposo, e vi starete chiedendo se io sia impazzito, e perché non sto ancora recensendo “Please Please Me” dei Beatles.

No, non è così. Vorrei che voi che mi state leggendo rileggiate con attenzione il paragrafo precedente e, se non lo avete già fatto, vi chiedo gentilmente di stracciarlo, per rifiutarlo con tutta le forza che avete in corpo.
Ho elencato nel modo più filisteo possibile tutte le motivazioni per cui un critico dovrebbe odiare ciò che soggettivante ama ma deve recensire in modo oggettivo. Questa è una bestemmia: la cosa più bassa e orribile che un membro della razza umana dovrebbe fare. Se mai avete ascoltato un album e poi avete pensato prima alla critica rispetto a quello che voi realmente pensate, sappiate che siete in errore.
Non pensate a quello che vi dicono, ma prima sentite.
E ora torniamo a “Please Please Me” dei Beatles.

Lo dirò con il cuore in mano: “Please Please Me” è l’album che mi ha fatto conoscere la musica. Potrei scrivere in maniera forse troppo evocativa che mi ha aperto prima il cuore e solo dopo le orecchie. Prima sentivo suoni e armonie, ma non sapevo cosa significassero. Erano vuoti suoni, vibrazioni distanti che mi facevano ridere, a volte emozionare, qualche volta attiravano la mia attenzione. Immaginate un bambino che ride per una melodia orecchiabile; può ridere, ballare e muoversi al ritmo. Finita la musica cerca altre cose, alti stimoli, attività più divertenti.
Anche io ero un bambino, ma per me dopo “Please Please Me” non c’è stato più altro e non ho avuto niente altro da cercare, se non le canzoni dei Beatles. E di Paul, John, George e Ringo.
“I Saw Her Standing There” è stato l’overture del miracolo, un’illuminazione. “Please Please Me” mi faceva cantare con loro a squarciagola, anche se il disco era vecchio e usurato. “Love Me Do” era meglio di ogni cosa sentita fino ad allora, ed il momento magico di attesa nel ritornello tra la frase e l’armonica rimane sempre incomparabile. “P.S. I Love You”, penso di averla trascritta su carta mentre Paul cantava, in un inglese incerto, come se avessi scritto io quella lettera. “Twist and Shout” è stata la prima canzone che ho ballato e non so davvero come, dopotutto avevo solo 8 anni.

Ho scritto una recensione pessima: personalista, sciatta e senza alcuna informazione utile a voi che volete accostarvi al mondo dei Beatles. Avrei potuto scrivere tanto, fatti e aneddoti, tante cose oggettive e razionali che vi avrebbero aiutato ad orientarvi, ma ho mancato questo semplice obiettivo.
Me ne scuso se vi ho fatto perdere del tempo. Ma ora, per favore, prendete un album che vi piace, quello che veramente vi ha emozionato nella vita. Ora ascoltatelo, gustandolo dal primo pezzo fino alla fine. Ditemi, per favore: come fate ad essere davvero razionali?

- Agent Smith

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