lunedì 13 febbraio 2023

Matia Bazar: "Tango" (1983)

Viene stampato il 19 gennaio di quarant'anni fa "Tango", settimo album dei genovesi Matia Bazar. Trainato dal successo del brano "Vacanze Romane", presentato al Festival di Sanremo a inizio febbraio del 1983, dove vince il Premio della Critica, il disco è un capolavoro pop presente nella classifica dei migliori dischi italiani della rivista Rolling Stone. L'album è prodotto dal compositore Roberto Colombo, mentre l'altro straordinario singolo "Elettrochoc" vede la partecipazione di Enzo Jannacci.



(disco completo: https://tinyurl.com/yuy8zw5v

Ah, il Festival, nido di vipere dal volto umano, epitome di tutto ciò che di superficiale c’è nel Belpaese. Vecchio arnese per vecchi rincoglioniti, ameno cazzeggio. Soprattutto, simbolica Bastiglia della musica pop italiana, perennemente ingessata, ciclicamente conquistata da rivoluzionari più o meno improbabili. Nel 1983, per esempio, al Festival partecipano Vasco Rossi (“Vita spericolata” arriverà penultima, con polemiche annesse), Toto Cutugno (con “L’Italiano”, probabilmente la canzone italiana più famosa nel mondo), un acerbo Zucchero (con la dimenticabile “Nuvola”). Lo vince Tiziana Rivale, una meteora di cui, siamo sicuri, pochi dei nostri lettori ricordano.

Al quarto posto, impreziosito dal premio della critica, arriva “Vacanze Romane”, suadente slow-milonga synthpop dei Matia Bazar nella loro seconda incarnazione, quella con il recentemente scomparso Mauro Sabbione alle tastiere, al posto di Alberto Cassano. Completano la lineup Giancarlo Golzi alla batteria, Aldo Stellita a testi e basso, Carlo Marrale alla chitarra, e poi lei, ovviamente, la diva timida Antonella Ruggiero, con la sua voce unica e la sua presenza fascinosa.

Dopo aver danzato sulla linea tra il pop più commerciale (“Solo tu”, “Stasera che Sera”, “Per un’ora d’amore”, “Ma perchè”) e il tardo-prog melodico (l’amatissima “Cavallo Bianco”), il riorganizzato quintetto si sposta su coordinate più moderne, o post-moderne, come amava dire Sabbione. Assimilando la new wave degli Ultravox di Midge Ure, di Peter Gabriel, ma anche di mattacchioni come Kraftwerk e Tuxedomoon, i Matia portano la rivoluzione sintetica sul palco di Sanremo e poi nelle case e nei jukebox di buona parte d’Italia grazie alla pietra miliare di “Tango”. L’influenza degli Ultravox di “Vienna” è forse quella più evidente. L’eccitante “Elettrochoc” è una bossanova rielaborata in un intelligente, nonché divertentissimo, riff su brani come “Sleepwalk”; “Scacco un po’ matto” e “Intellighenzia” sono metà new wave e metà progressive, con lunghe parti strumentali di tastiera e chitarra e le armonie sofisticate, sulla falsariga di “Astradyne”; “Il video sono io” e “Palestina” aggiornano la tradizione belcantista italiana, mescolando dosi eguali di melodia d’acchiappo e sperimentazione, melodica tanto quanto sonora. C’è poi spazio per un syntango vero e proprio come “Tango nel Fango”, magistrale interpretazione del genere, e per la spaghetti-postapocalisse de “I bambini di poi”.

Oltre al cruciale contributo di Sabbione, prezioso nella composizione di alcuni brani e necessario nel definire suoni di ciascuno di essi, bisogna aggiungere altre due figure che rendono questo capolavoro possibile: da un lato Roberto Colombo, già collaboratore di Ivan Cattaneo e PFM (soprattutto nel periodo delle tournée con De Andrè), prog-rocker e produttore lungimirante e illuminato; dall’altro Aldo Stellita, bassista e storico autore dei testi della band, capace di evolversi dai lidi easy-listening (e a tratti un po’ stucchevoli) della produzione con Cassano per maturare in poeta pop, una transizione che porta a testi bellissimi e, secondo il parere di chi scrive, non abbastanza celebrati. Ma è tutta la band, qui, forse all’apice delle proprie possibilità: Golzi riesce a infondere personalità e calore nel minimalismo (e nelle drum machines) che imperversa nell’album; Marrale figura come autore principale delle musiche, e anche di lui e delle sue doti come autore non è stato detto abbastanza.

Canzoni come “Vacanze Romane” non emergono spesso, ed è più raro ancora ascoltarle dal palco dell’Ariston; difficilmente una canzone (per tacere di un intero album) assurge allo status di leggenda senza solidi motivi, e “Vacanze Romane” di motivi solidi ne ha in sovrabbondanza. "Tango" è un album che avrebbe spaccato in qualunque contesto, in qualunque lingua, praticamente perfetto nel suo aderire allo zeitgeist, e ciononostante ancora proiettato nel futuro a distanza di quarant’anni. Noi italiani abbiamo anche la possibilità di godercelo nella nostra lingua madre, e dovremmo farlo più spesso.

- Spartaco Ughi

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