giovedì 26 gennaio 2023

Iggy Pop: "Every Loser" (2023)

È uscito questo mese "Every Loser", ultimo album di Iggy Pop, una vera istituzione del rock americano e uno dei Grandi Vecchi rimasti ancora in grado di produrre musica significativa per il ventunesimo secolo. Sul disco, Pop scrive assieme al chitarrista-cantante Andrew Watt (classe 1990) e si fa accompagnare da un vero e proprio gotha di rocker vecchi e maturi, come il chitarrista Stone Gossard (Pearl Jam), il bassista Duff McKagan (Guns'n'Roses), i batteristi Chad Smith (Red Hot Chili Peppers) e Travis Barker (Blink 182), il polistrumentista Josh Klinghoffer (Red Hot Chili Peppers), tre quarti dei Jane's Addiction. Tuffo al cuore per la presenza del compianto Taylor Hawkins (Foo Fighters) alla batteria in due brani.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/mu3rucaw

È il 2023 e Iggy Pop è tornato, a quattro anni di distanza dal suo precedente album. Ormai indiscusso monumento del rock, ogni nuovo album dell’Iguana viene salutato con un misto di benevolenza e compiaciuta sorpresa. Gli ultimi due lavori in studio, "Free" del 2019 e "Post Pop Depression" del 2016, avevano portato qualche traccia interessante ma tutto sommato forse poco da ricordare.

Invece ora è il 2023 e Iggy decide di autocelebrarsi con un’operazione in cui lui stesso pervade ogni singola canzone, musica e testo, presentandosi come un Every Loser, non l’uomo qualunque ma lo sfigato qualunque, che alla fine, guarda un po’, da marmittone a piccolo selvaggio, ce l’ha sempre fatta.

Innanzitutto Iggy sceglie come produttore e seconda anima del disco Andrew Watt, uno che di successi sicuramente se ne intende senza limitazioni di artisti o generi (lo troviamo a collaborare con Justin Bieber, Miley Cyrus e i Maroon 5, ma anche con Eddie Vedder e Ozzy Osbourne per i suoi ultimi due notevoli lavori in studio); poi chiama a raccolta musicisti di alto livello e varie estrazioni, da Duff McKagan al basso (da sempre anima punk dei Guns’n’Roses, che negli ultimi live si esibisce in una sua versione di I wanna be your dog), a Chad Smith (Red Hot Chili Peppers) e Travis Barker (Blink 182) alla batteria, da uno stock dei Jane’s Addiction al compianto Taylor Hawkins.

Completata la squadra, però, ogni singola canzone parla solo di Iggy e anzi è Iggy: si inizia con il ciclone punk-rock di Frenzy, dove la voce urlatissima del Nostro sovrasta chitarre, bassi e batterie che lo inseguono furiosamente e ci annuncia, appellandoci in modo non propriamente cortese, che lui è preso da un sacro furore creativo e guai a chi tenterà di fermarlo (magari facendogli notare che alla sua età certe cose vanno lasciate ai giovani).

Subito dopo Iggy recupera la sua voce da bluesman e con tono basso e ipnotico ci parla del fin troppo noto tema della dipendenza in Strung out Johnny: vuole essere crudelmente ironico (“God made me a junkie, but Satan told me so, you're strung out, Johnny, and you can't get away, you're strung out, Johnny, and now it's time to pay”) ma poi descrive una descensio ad inferos talmente banale da generare un’inconsapevole empatia per questo Loser qualunque (“First time, you do it with a friend, second time, you do it in a bed, third time, you can't get enough, and your life gets all fucked up”).

Arriva poi il momento inaspettato in cui l’Iguana decide di fare il verso nientedimeno che a Mr. Donovan, descrivendo nella sua New Atlantis, con il susseguirsi di parlato introduttivo e ritornello, la noiosa e sporca Miami (dove il Nostro si è stabilito ormai da anni, probabilmente non immune al richiamo che la Florida esercita sulla terza età americana), che finirà per morire soffocata nel cemento, ma da cui lui non può allontanarsi.

Si urla ancora con Modern Day Ripoff (che ha come intro una sorta di medley tra TV Eye e I wanna be your dog) e poi con Neo Punk, dove proprio l’eteronominato padrino del punk si esibisce in una maratona vocale sopra una di quelle sonorità che nella seconda metà degli anni ’90 fecero scoprire il punk al grande pubblico e scandalizzarono i fedeli di Clash e Ramones: ma non è casuale, perché sopra questa musica innocentemente carica di energia Iggy fa una parodia impietosa proprio degli artisti neo punk, che non hanno bisogno di cantare, ma costruiscono il loro successo su una vita fintamente ribelle, vomitano nelle piscine mentre girano in Rolls Royce.

Troviamo meno anima e meno Iggy in due canzoni con poca direzione, Comments, una critica del mondo dell’apparenza dei social e dello showbiz, e All the way down, ancora polemica pluridirezionata verso la società, il potere, e chi è condannato a scendere invece di salire. Certamente abbiamo tanto Iggy nella ballata Morning Show, dove la voce diventa quasi di un crooner, che ci racconta come ogni uomo (pardon, ogni sfigato) debba ogni mattina lasciarsi alle spalle tutto ciò che non gli permetta di mettere su una bella faccia e affrontare il mondo; è forse l’unico accenno del disco al tempo che passa, per tutti, con il trucco di cui parla la canzone che diventa anche fisico oltre che metaforico per chi continua ad esibirsi sul palco a quasi settantasei anni.

Interessanti anche i due brevi intermezzi parlati, il primo dove viene sponsorizzata una sorta di clinica psichiatrica che prepara al successo, una cura possibile per i losers (The news for Andy), la seconda dove la street-walking cheetah diventa invece un terribile gatto randagio che sa trovare da solo il piattino con il latte (My animus).

E infine si torna a urlare e digrignare su ritmi che vanno all’impazzata, con The Regency, quasi sei minuti di vari temi musicali e varie voci che attaccano ferocemente bersagli identificati solo per cenni.

Terminato l’ascolto del disco, la sensazione è di essere stati catapultati per circa 40 minuti in una dimensione parallela, un Iggyverso dove il signore e padrone incontrastato ha deciso di fare un bel riassunto di quello che è stato, e forse di quello che avrà ancora voglia di essere. Negli anni ’80, Iggy fu salvato dalle conseguenze irreparabili del suo stile di vita da due donne, entrambe dell’Asia più lontana: la moglie giapponese Suchi Asano e la versione della sua China Girl che David Bowie incluse nel proprio album Let’s dance e gli permise una solida rendita di diritti allorché era ormai prossimo all’ennesimo tracollo economico.

Oggi, nel 2023, Iggy ci mostra che si è salvato da solo, e che se ripercorrere a ritroso la propria vita passata è da sfigati, allora lui è sicuramente uno sfigato, uno qualunque.

- Lady Stardust

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