domenica 8 gennaio 2023

Beach Boys: "Holland" (1973)

Esce l'8 gennaio di cinquant'anni fa "Holland", album dei Beach Boys scritto e concepito in Olanda, dove il gruppo risiedette per alcuni mesi del 1972 e incise le tracce di base di tutte le canzoni, a eccezione del singolo di lancio "Sail on sailor", un'aggiunta dell'ultimo momento per compiacere la casa discografica che riteneva l'album mancasse di un potenziale brano di successo. Per molti si tratta dell'ultimo grande album della formazione californiana.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/2vxna6e6)

Nel 1971-72 i Beach Boys fanno tour europei dove scoprono che per le audience continentali affamate di America i ragazzi della California non sono dei rimastoni imbolsiti ma eroi musicali. Non solo, gli europei, che hanno meno preconcetti per ciò che i Beach Boys dovrebbero o non dovrebbero essere, apprezzano i loro ultimi album e nei Paesi Bassi addirittura il pubblico canta e conosce le parole dei loro nuovi pezzi.

L'entusiasmo, unito alla ormai cronica dissociazione dalla realtà delle giovani rockstar ubriache di denaro e fama che colpirà un po' tutti negli anni settanta pro-punk, dagli Stones ai Led Zeppelin, convince il gruppo a spostarsi, con famiglie ed entourage a seguito, in Olanda, spendendo migliaia di dollari per trasportare il proprio materiale all'avanguardia in un vecchio studio di registrazione. Questo perché, non rendendosi conto della floridità della scena rock nederlandese, non immaginavano di non potere affittare così dal nulla uno studio solo per sé.

Olanda nuova sede d'elezione, "Holland" titolo del nuovo disco, le cui tracce base vengono lavorate dagli ormai sette Beach Boys (i fratelli Brian, Carl e Dennis Wilson; i co-fondatori Al Jardine e Mike Love; e i nuovi arrivati, il bassista Blondie Chaplin e il batterista Ricky Fataar, giunti sul precedente "Carl and the Passions/So tough"). Manca ufficialmente Brian Johnstone, bassista-cantante che ha lasciato l'anno prima, ma che in seguito giurerà che gli hanno pagato diversi soggiorni in Olanda per contribuire ai cori della band.

Dopo sei mesi di difficoltà, e con una mancanza quasi cronica di collaborazione da parte di Brian, sempre più immerso nei propri problemi psicologici, il gruppo completa scheletro e muscolatura delle canzoni: mancano solo i dettagli, sovraincisi a Los Angeles una volta rientrati nell'autunno del 1972. Ma la casa discografica Warner non è contenta dell'album, sente che manca il potenziale singolo di lancio, per cui Carl Wilson, in quegli anni leader de facto della formazione, sceglie di incidere dall'archivio una vecchia composizione di Brian con Van Dyke Parks, "Sail on, sailor", che servirà a dare semaforo verde all'uscita senza peraltro avere alcun significativo impatto commerciale.

Ma com'è questo "Holland", di cui a distanza di cinquant'anni si sente parlare in termini piuttosto diversi da parte della critica? C'è chi lo considera l'ultimo capolavoro dei fratelli della spiaggia e chi lo considera un tipico esempio di pomposo, ambizioso e autocompiaciuto prodotto dei suoi tempi (quelli del progressive e del rock impegnato). Ciò su cui concordano tutte le critiche è che il disco è maturo. Non c'è più il giovanilismo dei vent'anni ma non c'è nemmeno la nostalgia a tratti ridicola e autoparodistica dei loro quaranta. I Beach Boys sono trentenni al culmine delle proprie capacità musicali e poiché lo zeitgeist è quello di considerare il rock come una forma alta di arte, vogliono dare il loro contributo, come già stanno cercando di fare almeno da "Sunflower" (1970), nel disinteresse dei propri compatrioti.

Il disco è caratterizzato da brani singolarmente lunghi per il gruppo, a partire dal capolavoro "California Saga", oltre dieci minuti composti e cantati da Jardine e Love (purtroppo orrendamente spezzati in tre parti sul cd e nello streaming). La 'saga' si apre con una splendida introduzione di pianoforte che porta a un numero semiacustico in chiave folk rock, che si appoggia poi a piano, flauti e cori di ispirazione indiana/raga prima di aprirsi in uno dei ritornelli più riusciti e commoventi di tutto il disco, che si chiude poi con una coda surf che rievoca attraverso gli usuali cori meravigliosi le proprie opere dei sessanta con una purezza che evita nostalgie e infantilismo.

"Sail on sailor" e "Steamboat" aprono il lato A con due pezzi di soul rock meditativo: il primo con una struttura intrigante - una strofa di quattro versi, due dei quali r&b dalle chiare influenze gospel, una malinconica in tonalità minore, una di ritornello, poi un ponte di otto battute chiuso dal singolo verso di ritornello, ripetuto poi ad libitum nella coda finale; il secondo, opera di Dennis Wilson, che sfrutta percussioni e sintetizzatori per costruire una ritmica rumoristica, quasi da musica concreta, percorsa da elaborate armonie vocali e dall'ottimo lavoro di chitarra dell'ospite Tony Martin.

Sulla stessa falsariga "The Trader", brano di Carl e del guru-manager Jack Rieley posto a inizio di lato B che parla del razzismo degli europei e della loro filosofia ottocentesca di illuminazione degli altri popoli; la canzone si apre con un giro splendido ma poi si deprime attraverso un cambio di tonalità che porta il pezzo su un versante malinconico che non lo fa rendere al meglio. Segue la buona "Leaving this town", firmata da Chaplin e Fataar, caratterizzata da un intrigante assolo di sintetizzatore moog.

Chiudono il disco la canzone d'amore "Only with you", che negli anni ottanta sarebbe potuta diventare un leccatissimo successo commerciale ma qui tradisce una vera molto più sincera, e la bizzarra "Funky Pretty", uno dei pochi contributi di Brian all'album che fa esattamente quello che dichiara nel titolo, ovvero affianca la bellezza della ricerca vocale del gruppo a una ritmica funkeggiante, specie nel finale. A corredo dell'edizione originale (e della ristampa rimasterizzata del 2000) si trovava poi un EP, "Mount Vernon and Fairway", con una bizzarra fiaba per bambini narrata con accompagnamento musicale, del tutto trascurabile a conti fatti.

In conclusione ci troviamo di fronte a un disco riuscito e di assoluto respiro per i Beach Boys, l'ultimo loro disco serio per molti anni e, in effetti, per molti anni l'ultimo disco proprio. Dopo due anni di concerti, nuovi cambi di organico e continui problemi personali, i Beach Boys non pubblicheranno un altro LP fino al 1976, e sia il clima culturale sia quello nella band non permetteranno più la realizzazione di un appropriato seguito di "Holland", ponendo fine al processo di maturazione e di crescita interno al gruppo.

- Prog Fox

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