sabato 10 dicembre 2022

Phish: "Round Room" (2002)

Il 10 dicembre di vent'anni fa vedeva la luce l'ottimo "Round Room", decimo album degli americani Phish, una delle formazioni di punta di quel jam rock anni novanta che era figlio tanto dei Grateful Dead quanto del progressive rock, fratello minore del college rock e dell'hard rock anni ottanta e cugino del grunge. L'album arrivava dopo una interruzione di tutte le attività del gruppo durata due anni.



(disco completo: https://tinyurl.com/2p8dp2hh)

Che i Phish fossero dotati di una vena intimista e pensosa non è certo una novità. Quando, nell'ottobre del 2002, si riuniscono dopo due anni e mezzo di interruzione delle attività, il gruppo (Jon Fishman, batteria/voce; Mike Gordon, basso/voce; Page McConnell, tastiere/voce; Trey Anastasio, chitarre/voce) pianifica un rientro nell'attività dal vivo per la notte di Capodanno 2002/2003, preceduta dalla pubblicazione di un nuovo album, in gran parte composto da Anastasio assieme al suo principale partner creativo, l'amico Tom Marshall. Come molti dischi americani incisi all'ombra dell'11 settembre 2001, l'atmosfera di "Round Room" è profondamente segnata dagli attacchi alle Torri Gemelle, e l'album è dedicato alla memoria di Scott Schertzer, un fan della band perito nella tragedia, e a quella di Michael Houser, chitarrista dei Widespread Panic scomparso per il cancro a soli 40 anni, pochi mesi prima.

Quello che ne risulta è un ispirato, bellissimo album; elegiaco, sobrio e nostalgico, "Round Room" è caratterizzato da numerose meditazioni che restano sullo sfondo del panorama bucolico di quel Vermont in cui è nato, è cresciuto e ancora respira il gruppo. Occasionalmente emergono sprazzi di energia che generano le usuali, intense, energiche jam strumentali che hanno reso i Phish leggende nei loro spettacoli dal vivo, ma questa presenza è se non marginale comunque confinata a parti ben precise delle composizioni più lunghe e articolate dell'album, come nel crescendo della seconda metà di "Pebbles and Marbles", nel finale jazz-roots di "Seven Below", nella lunga, tambureggiante conclusione di "Walls of the Cave", tutte sopra gli otto minuti di durata.

Il resto del disco è quasi tutto altrettanto riuscito, e totalmente meditativo, caratterizzato da un'atmosfera che va dalla serena accettazione della tragedia come parte della vita ("Mexican Cousin"; "All of these dreams"; "Mock Song", dal testo nonsense firmato e cantato da Gordon) a una rassegnata, dolcissima amarezza ("Anything but me"; la surreale "Round Room", ancora di Gordon; "Friday", dal finale genesisiano). I riferimenti passati di questi brani sono in primis i Grateful Dead più roots rock di "Workingman's Dead" e "American Beauty" (si ascolti per esempio la conclusiva "Waves", col duetto vocale di Anastasio e McConnell che rievoca quelli di Garcia e Weir); i parenti stretti sono gli Echolyn (Pennsylvania) e quelli più remoti sono i King's X (Missouri), ognuno dei quali mescola in dosi diverse le comuni influenze della psichedelia, del progressive e della musica degli anni ottanta come il college rock e l'hard rock. Fa eccezione anche alle eccezioni il mid-tempo sincopato e grintoso di "46 Days", un unicuum sull'album, che, facendo riferimento allo stile di certi brani uptempo di Allman Brothers, Doobie Brothers e soprattutto Little Feat, suona un po' fuori luogo nell'atmosfera generale.

Un altro ottimo album per gli amici di lunga data dei Phish, che non saranno certamente delusi dalla qualità compositiva (e ovviamente esecutiva, manco a dirlo) dei quattro musicisti. Per chi conosce meno la formazione forse "Round Room" non rappresenta il punto migliore d'ingresso, data la natura particolarmente pacata del materiale, a meno che i Grateful Dead del 1970-1972 non siano il vostro gruppo preferito.

- Prog Fox

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