lunedì 28 novembre 2022

Echolyn: "Suffocating the Bloom" (1992)

Usciva trent'anni fa oggi "Suffocating the Bloom", secondo album dei prog rocker americani Echolyn, una delle più importanti formazioni del genere negli anni novanta. Si tratta del disco della piena maturità e probabilmente del capolavoro della formazione della Pennsylvania.



(disco completo: https://tinyurl.com/ytt2pkj5)

Stabilizzata la formazione con l'ingresso del bassista Tom Hyatt e pubblicato il primo album eponimo (1991), gli Echolyn, moderni discepoli dei Genesis e dei Gentle Giant, realizzano l'anno successivo il loro secondo album, "Suffocating the Bloom". Lo stile rimane quello dell'esordio: brani dalla forte carica melodica, alcuni più vivaci, altri più pensosi, ma sempre caratterizzati da una grande preparazione tecnica che privilegia il ruolo corale degli strumenti (per quanto il chitarrista Brett Kull sia tutt'altro che un solista carente); non mancano in ogni brano inattese curve date da cambi di tonalità inattesi, cori che costeggiano la dissonanza o improvvise esplosioni ritmiche. Oltre alle influenze del prog anni settanta, però, si sente anche il forte sapore del college rock anni ottanta, delle influenze di R.E.M. e Camper van Beethoven, e quello del nuovo prog americano contaminato dalla musica alternativa nato pochi anni prima, quello dei Fish e dei King's X.

Una chitarra genesisiana introduce uno dei pezzi più belli del lotto, l'intensa cavalcata di "21", canzone dedicata al compimento dei ventun anni d'età, che negli Stati Uniti rappresentano una soglia importante quanto i 18 (anche solo per il fatto che si tratta dell'età legale per bere, come dicono gli Echolyn stessi - "I was glad to be 21, in the legal part of my life"). Segue "Winterthru", un'altra galoppata, questa volta però nella chiave delle renne di Babbo Natale: canzone dedicata all'inverno e, tangenzialmente, specie nel clamoroso ritornello finale, anche alla stagione natalizia, che al vostro umile recensore ricorda in qualche modo un altro pezzo altrettanto favoloso, scritto vent'anni fa con un tema lirico simile, ovvero "Song of the Evergreens" dei Chicago. "Memoirs from Between" è il pezzo più lungo della prima parte del disco, aperto da una lunga, solare introduzione acustica da meriggio estivo e concluso in chiave di epos corale da un maestoso ritornello.

"In every garden" è forse la canzone capolavoro dell'album: cuore concettuale del disco, drammatico brano semiacustico condotto per mano dalle scosse telluriche, cariche di tensioni e irregolarità, inferte dal batterista Paul Ramsey alla struttura e all'atmosfera del pezzo, sublimato dalla voce rabbiosa e disperata di Ray Weston, che descrive la solitudine autodistruttiva dell'uomo impegnato nella crociata morale: "lost in shallow righteousness, there's something wrong with this", ciò che 'soffoca il germoglio e ogni fioritura', come da titolo dell'album.

Sebbene questo quartetto iniziale di canzoni sia pressoché perfetto e l'album non prosegua a questo livello, il disco continua mantenendosi valido e interessante, sistematico nella scelta di una alternanza tra brani pensosi, talvolta persino malinconici, e brani movimentati e imprevedibili, non di rado caracollanti e dal forte impatto percussivo ad opera di Ramsey.

Ai primi appartiene la notevole "A little nonsense", che nei ritornelli a molte voci rievoca certe partiture dei Gentle Giant e degli Yes, in forma però completamente autonoma grazie al tocco quasi funky della ritmica della strofa. "One voice" è una commovente ballata acustica che ricorda vagamente i Genesis post-Gabriel nel ritornello e il folk rock britannico negli arrangiamenti delle strofe, decorati con archi e flauto traverso, fino allo struggente e intenso finale. "Here I am" strizza l'occhio alla "Here am I" dei Caravan (1976) ed è l'ennesimo brano memorabile fra quelli più accesi. I tre minuti della strumentale "Cactapus" concludono la prima metà del disco, quella fatta di canzoni (relativamente) brevi e indipendenti fra loro.

La seconda mezz'ora del disco è interamente dedicata all'immancabile suite progressiva, "A Suite for the Everyman", composta di tanti brevi frammenti melodici, la maggior parte dei quali non supera il paio di minuti di durata. Il pezzo scorre fluentemente, senza pause o momenti di noia, mettendo in mostra la grande ecletticità del gruppo e, ancora una volta, il suo impareggiabile stile corale.

"Suffocating the Bloom" è probabilmente il capolavoro degli Echolyn. La varietà e la facilità melodica del gruppo è probabilmente quello che più impressiona in questi 60 minuti di musica; confortati dalla sezione ritmica di Hyatt e Ramsey, di livello davvero superiore, fantasiosa e colorata, che nella sapiente gestione dell'alternanza fra brani più aggressivi e brani più morbidi sa sempre tenere desta l'attenzione sui brani composti dai melodisti Kull, Buzby e Weston.

- Prog Fox

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