venerdì 14 ottobre 2022

Manfred Mann's Earth Band: "Somewhere in Afrika" (1982)

Nell'ottobre di quarant'anni fa vedeva la luce "Somewhere in Afrika", undicesimo album della Manfred Mann's Earth Band. Il disco si caratterizzava per un eccellente e personale neo prog da primi anni '80, la cui ispirazione guida era la denuncia dell'apartheid da parte del leader sudafricano del gruppo, Manfred Mann alias Manfred Lubowitz, che impiegò oltre alla propria band (il batterista John Lingwood, i cantanti-chitarristi Steve Waller e Chris Thompson, il bassista Matt Irving e la cantante Shona Laing) e ad amici e ospiti (i chitarristi Mick Rogers e Trevor Rabin degli Yes) anche un quintetto vocale sudafricano (Chief Dawethi, Fats Mothya, Jabu Mbalu, Rufus Sefothuma, Zanty Lekau).



(disco completo: https://tinyurl.com/5ypt9mpn)

Gli Anni Ottanta vedono una crescita dell'attenzione da parte del rock per i problemi del Terzo Mondo. Sotto assedio verrà messo tra gli altri il regime sudafricano, protagonista dell'apartheid. Non che l'apartheid fosse sconosciuto nei decenni precedenti: sin dagli anni sessanta, un vasto numero di musicisti bianchi, neri e indiani erano scappati dal Sudafrica e si era rifugiato a Londra o negli Stati Uniti; artisti di immenso valore come Miriam Makeba, Hugh Masekela, Ricky Fataar, Mongezi Feza, e anche il tastierista Manfred Lubowitz, ebreo sudafricano meglio noto al mondo del rock col nome di Manfred Mann.

Il 1982 è un anno importante per l'antirazzismo nel rock: Peter Gabriel organizza il primo festival artistico WOMAD, dedicato alle culture tradizionali di tutto il mondo, un passo importante nel processo che porta poi alle iniziative come USA for Africa, il Live Aid, il boicottaggio della scena concertistica del Sudafrica, e artisticamente a dischi come "Graceland" di Paul Simon, realizzato in Sud Africa con musicisti locali, sfidando le autorità (e anche una certa rigidità mentale dei suoi colleghi; ma non è questo il luogo in cui parlarne).

In ogni caso, Manfred Mann decide di incidere le proprie riflessioni musicali sul tema. Oltre alla formazione base del gruppo, che vede al suoi fianco John Lingwood alla batteria, Matt Irving al basso e tre cantanti (Chris Thompson, Steve Waller e Shona Laing), Mann si attornia di un quintetto vocale di cantanti neri del suo paese (Chief Dawethi, Fats Mothya, Jabu Mbalu, Rufus Sefothuma, Zanty Lekau). Con questa formazione realizza un concept contro l'apartheid che si avvale sia di composizioni proprie che di una originale interpretazione di brani altrui.

Il formato musicale con cui Mann presenta la sua opera, "Somewhere in Afrika", è quello del neo progressive: suoni new wave di batteria, chitarra hard'n'heavy anni ottanta, sintetizztori moderni, ma scansione dei brani, melodie e tessitura chiaramente prog - qualcosa che se vogliamo affianca e addirittura anticipa "90125" degli Yes (non a caso il chitarrista sudafricano Trevor Rabin, che compare in alcune tracce del disco, è anche membro fondamentale degli Yes anni ottanta), non troppo distante da altre formazioni neo prog ottantiane come IQ e Pendragon. Il tocco più originale è naturalmente l'uso dei cori e delle armonie vocali condotte da Chief Dawethi e dal suo quintetto vocale, che decorano i brani togliendo un po' di patina elettrosintetica e dandogli un afflato profondo di umanità.

I due capolavori del disco sono le due mini-suite "Africa Suite" e "Redemption Song (No Kwazulu)", rispettivamente nove e otto minuti che occupano l'intero lato B, caratterizzati dalle chitarre elettriche dei già citati Steve Waller e Trevor Rabin, dai campionamenti di strumenti tradizionali e dalle voci del quintetto vocale, che nel primo caso decorano la splendida composizione rock di Mann, Irving e Lingwood, e nel secondo caso danno una interpretazione inattesa e profonda del classico di Bob Marley.

Il lato A del disco è un po' meno a fuoco, costituito com'è da quattro cover a cui il trattamento sudafricanizzante non si addice quanto al resto (si prenda l'insoddisfacente cover di "Demolition Man" dei Police come esempio). Esistono poi almeno altre due o tre versioni dell'album, la cui pubblicazione è stata assai confusa, con brani diversi o versioni accorciate. L'importante è però che vi procuriate la versione con le due mini-suite complete, dato che sono loro la portata principale dell'album.

Se vi piacciono Bob Marley, il Peter Gabriel solista e gli Yes di "Owner of a lonely heart", questo disco fa sicuramente al caso vostro. In caso contrario, anche se apprezzerete l'intenzione di Manfred, il disco potrebbe lasciarvi indifferenti. D'altra parte, se non vi piacciono né il Peter Gabriel solista, né gli Yes di "Owner of a lonely heart", né Bob Marley, non deve essere facilissimo accontentarvi.

- Prog Fox

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