Il 2 agosto di dieci anni fa veniva pubblicato "The Suburbs", terzo album dei canadesi Arcade Fire. Alla prova del terzo album, dopo il capolavoro "Funeral" e il discusso "Neon Bible", gli Arcade Fire avrebbero confermato le proprie qualità o fallito l'obiettivo?
(l'album completo può essere ascoltato qui: https://tinyurl.com/yxtb28m87)
Tante cose ci avevano conquistato nell'esordio degli Arcade Fire ("Funeral"): la temperatura emotiva dei brani, il perfetto incastro delle molte voci e dei multipli strumenti, il loro essere in qualche modo "altro" rispetto alle classiche e convenzionali rock band pur restando, pur sempre, fortemente e principalmente - per l'appunto - una rock band.
Che si trattatasse di un amo, di una operazione cosmetica e puramente superficiale (subito, infatti, gli elefantiaci U2 si impossessavano del coro di "Wake Up" per aprire i loro concerti e fare dire "oh come sono aggiornati e sul pezzo questi vecchietti", mentre più sincera, meno strumentale e basata su una più netta condivisione di intenti appare la benedizione immediata di Bowie...) è un discorso che trova un senso relativo: è infatti molto facile immaginarsi che Win, Regine e compagnia bella mica si immaginino, in tutta sincerità ed onestà, come innovatori o rivoluzionari, ma che sappiano benissimo dove affondano le loro radici.
"Funeral" aveva, insomma, dei pregi abbastanza netti e, a nostro modo di vedere, indipendenti dal numero di musicisti presenti sul palco, dai violini o dalle fisarmoniche.
Di rock di trattava e di un disco rock ci eravamo innamorati: disco compatto, di qualità (alta) omogenea, ottima base per dei live strepitosi e coinvolgenti, che non nascondevano per nulla le ambizioni mainstream e da realizzatori di "music for the masses" dei nostri.
Il secondo passo, "Neon Bible", peccava invece sostanzialmente di coesione e uniformità: alcuni bei pezzi, pronti per arrichirre i suddetti live con altri momenti topici, ma con alcuni momenti con giri bassi nel motore e con ingranaggi un poco inceppati.
Comunque sia, si arriva a "The Suburbs" (2010) con una discreta attesa e con buone aspettative: gli Arcade Fire sono ormai padroni del campo, pronti ad una altra stagione live e ci si augura che il nuovo disco porti nuovo fuoco alle braci.
E, lo diciamo, la risposta è sostanzialmente positiva, quanto meno a livello di singoli. Non è invece completamente soddisfacente a livello di insieme e di cifra complessiva del disco.
E' vero che con "The Suburbs" e "Ready to Start" si apre l'opera certamente sotto i migliori auspici; l'entusiasmo di raffredda però già con la successiva coppia "Modern Man"/"Rococo".
Si tratta di brani formalmente corretti e sicuramente con alcuni pregi (orchestrazioni e arrangiamenti) ma con il difetto fondamentale del manierismo e della prevedibilità. Sono brani che nel mix ispirazione-mestiere spostano la bilancia sicuramente sul secondo piatto.
Ci sono altri pezzi costruiti così in "The Suburbs": malgrado l'opera si presenti quasi come "concept album", si percepisce una certa frammentazione tra i brani.
Spiccano sicuramente le qualità emotive ed emozionali di "Half light I/II", "City with No Children", l'intensa "Suburban War", "We Used To Wait" mentre lasciano più distaccati "Empty Room", "Month of May" e "Deep Blue".
Con questi passaggi si inizia, insomma, a scavare anche una certa distanza con il pubblico: non pochi tra chi aveva apprezzato, e molto, "Funeral" e "Neon Bible" cominciano a premere il tasto "skip" e a pensare di girare pagina, rivolgendo cuore e attenzione verso altri lidi.
Dalla straordinarietà inizale (ci venga concesso, ce ne era..) a questa ordinaria qualità: ma il colpo di coda che risolleva e riempie gran parte del bicchiere ecco che c'è ed è a suo modo magistale.
"Sprawl II (Mountains Beyond Mountains)" è il brano catchy per eccellenza: Regine, con grazia naif e con una voce non proprio adatta al canto di standard rock o pop (o forse: perfettamente adatta proprio perchè deliziosamente inadeguata) danza e ci ammalia su un beat sintetico quasi da videogioco, replicando il risultato mirabile ottenuto in precedenza con "Haiti" .
Buffo, adorabile, sinceramente coinvolgente.
La chiusura del cerchio, con il tema iniziale di "The Suburbs" replicato e sfumato, ci congeda da un disco in cui pregi e difetti si sommano e si compensano: non così circolare e riuscito come il rimbalzo tra brano di apertura e chiusura vorrebbero fare pensare, ma neppure completamente fallace, anzi.
L'auspicio di un completo ritorno a casa, alle malinconie coese - perfettamente enfatizzate e orchestrate in "Funeral" - era magari eccessivo e
la storia non deve necessariamente ripetersi: non siamo comunque fuori strada, il percorso è ad ogni modo seguito e non è poi così spiacevole accodarsi
e seguire la rotta tracciata.
- il Compagno Folagra
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