I buoni risultati di "Tales of Mystery and Imagination" convincono la
casa discografica Arista a chiedere ad Alan Parsons, che aveva inciso
l'album assieme al compositore Eric Woolfson e a vari musicisti amici
provenienti da gruppi per i quali aveva lavorato come produttore o
ingegnere del suono, di firmare un
contratto per la pubblicazione di ulteriori album concettuali. Il primo disco del nuovo corso è "I Robot", ispirato all'opera di Isaac Asimov.
Con la fiducia della casa discografica, Alan
Parsons ed Eric Woolfson hanno modo di mettere in piedi una
formazione stabile - oltre al compositore e direttore d'orchestra Andrew
Powell, alla chitarra, al basso e alla batteria si confermano Ian
Bairnson, David Paton e Stuart Tosh, provenienti dai Pilot; mentre alle
tastiere penseranno Parsons, Woolfson e Duncan Mackay, il tastierista
sudafricano dei Cockney Rebel.
Per quel che riguarda le voci, invece, Parsons e Woolfson decidono di continuare con l'alternanza di guest singers, secondo un principio che vedrà poche variazioni nel corso della lunga carriera della band.
Ancora una volta, Parsons e soci si occupano di letteratura: questa volta si passa da Edgar Allan Poe ad Isaac Asimov - inoltre, "I Robot" abbandona gli aspetti più sperimentali di "Tales of Mystery and Imagination" per adagiarsi in un più conformista suono pinkfloydiano, fortemente influenzato da "The Dark Side of the Moon" e ancora di più da "Wish you were here". Un manierismo prog dignitoso e professionale, che garantisce un buon risultato sia artistico sia di risposta di pubblico, pure in un momento di forte calo nella domanda di art rock da parte del pubblico.
Non mancano peraltro ulteriori elementi di piacioneria da parte della band, che indulge in momenti quasi funk o disco - come si sente già nei primi due brani, l'introduzione pinkfloydiana di "I Robot" e la prima canzone, "I wouldn't want to be like you" (https://www.youtube.com/ watch?v=qOwFVowEugQ,
cantata dal popsinger Lenny Zakatek, che comparirà in quasi tutti gli
album della band), un orecchiabile soul rock con elementi funk.
Il lato A continua con tre brani più tipicamente pinkfloydiani: "Some other time" (https://www.youtube.com/ watch?v=F7GINquf1O8,
di cui anni dopo uscirà un demo cantato tutto dalla Jaki Whitren,
superiore al prodotto finale del disco in cui duetta con Peter Straker),
"Breakdown", storia di un robot malfunzionante perduto su un pianeta
lontano, con la sua solenne partitura orchestrale, e soprattutto "Don't
let it show" (https://www.youtube.com/ watch?v=hdG7KO9hUNU),
una canzone sulla necessità di rimanere fedeli al proprio essere,
ballad di livello che avrebbe potuto essere composta da David Gilmour.
Sono tutti brani melanconici e improntati a un certo pessimismo
esistenziale in cui si amalgamano bene liriche e musiche.
Il lato B segue un formato più tipicamente prog rock: dopo la mini-suite "The Voice" (https://www.youtube.com/ watch?v=da1l7ChG1aM),
cantata nientemeno che da Steve Harley (dei Cockney Rebel di "Make me
smile"), un brano quasi funky prog con una parte strumentale sincopata,
seguono senza soluzione di continuità "Nucleus", uno strumentale etereo
dominato dalle tastiere, "Day after day" (https://www.youtube.com/ watch?v=ZNoVQ7Xv6VE),
uno dei migliori brani dell'album, struggente ballad
cosmico-esistenzialista in cui appare la pedal steel guitar del grande
sessionman BJ Cole, "Total Eclipse", composizione di Powell (https://www.youtube.com/ watch?v=BWn9dcEtRa0,
che si ispira alla "Lux Aeterna" di Ligeti usata nella colonna sonora
di "2001, Odissea nello Spazio") e pezzo più sperimentale del lotto, e
infine la conclusione, anch'essa strumentale, di "Genesis ch1 v32"(https://www.youtube.com/ watch?v=GBkliIyTFFQ)
- altro esempio di manierismo pinkfloydiano che nel titolo strizza
l'occhio all'ascoltatore dato che la Genesi ha solo 31 versi - e il 32° è
quindi riferito all'ascesa delle macchine senzienti prossima ventura.
Per quel che riguarda le voci, invece, Parsons e Woolfson decidono di continuare con l'alternanza di guest singers, secondo un principio che vedrà poche variazioni nel corso della lunga carriera della band.
Ancora una volta, Parsons e soci si occupano di letteratura: questa volta si passa da Edgar Allan Poe ad Isaac Asimov - inoltre, "I Robot" abbandona gli aspetti più sperimentali di "Tales of Mystery and Imagination" per adagiarsi in un più conformista suono pinkfloydiano, fortemente influenzato da "The Dark Side of the Moon" e ancora di più da "Wish you were here". Un manierismo prog dignitoso e professionale, che garantisce un buon risultato sia artistico sia di risposta di pubblico, pure in un momento di forte calo nella domanda di art rock da parte del pubblico.
Non mancano peraltro ulteriori elementi di piacioneria da parte della band, che indulge in momenti quasi funk o disco - come si sente già nei primi due brani, l'introduzione pinkfloydiana di "I Robot" e la prima canzone, "I wouldn't want to be like you" (https://www.youtube.com/
Il lato A continua con tre brani più tipicamente pinkfloydiani: "Some other time" (https://www.youtube.com/
Il lato B segue un formato più tipicamente prog rock: dopo la mini-suite "The Voice" (https://www.youtube.com/
- Prog Fox
(il disco completo si può sentire per esempio qui: https://www.youtube.com/ watch?v=udkjacp6tF0)
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