Il 28 settembre del 2007 esce "Rapid Eye Movement", terzo album da studio dei polacchi Riverside, gruppo dedito a un prog sospeso in un limbo fra rock e metal dai connotati psichedelici e dalle tinte gothiche.
(il disco completo si può ascoltare qui: https://tinyurl.com/y4a92oj4)
Con questo "Rapid Eye Movement", i nostri protagonisti vanno a chiudere la triologia concettuale dei conflitti interiori e della crisi di personalità cominciata con l'esordio "Out of Myself" del 2003 e "Second Life Syndrome" del 2005, ottimi lavori che hanno permesso ai quattro polacchi di acquisire una certa notorietà (in patria i loro dischi si piazzano sempre in posizioni altissime, "R.E.M." nello specifico raggiunse la posizione numero due assoluta), di fare da spalla nelle esibizioni live a gruppi come nientepopodimeno che i Dream Theater e di essere fra i migliori outsider della scena prog rock/metal del post 2000.
Stavolta, tocca ai sogni lucidi permeare l'immaginario emotivo e spirituale di questo concept album, suddiviso in due parti, "Fearland" & "Fearless". Nella cinematografia, esiste il luogo comune che il terzo capitolo di una triologia di successo è molto spesso il più debole; luogo comune o no, applicato al caso dei Riverside è azzeccato, a livello di ispirazione compositiva registra qualche passo indietro rispetto ai lavori precedenti, seppur trattandosi di un buon album nel complesso. Stilisticamente si trova assolutamente in linea con quanto sentito finora, gli echi dei Pink Floyd filtrati attraverso i Porcupine Tree sono ridondanti e notevolmente predominanti, senza lasciar da parte la vena dark&heavy prog degli Opeth e la soffusa malinconia degli Anathema, nonchè qualche lieve accenno ai vecchi Depeche Mode per quanto riguarda le partiture synth pop che talvolta fanno capolino qua e là.
Il cantante, bassista, chitarrista (nelle parti acustiche) e mentore del gruppo Mariusz Duda si ispira chiaramente a Steven Wilson (con cui condivide un alquanto simile timbro vocale, esile e pacato, e una ristretta gamma di parabole canore) mentre l'ispirazione del chitarrista Piotr Grudzinski (scomparso prematuramente l'anno scorso a causa di un improvviso attacco cardiaco) è squisitamente di scuola gilmouriana; a loro due si aggiunge il prezioso contributo di Michal Lapaj alle tastiere e del batterista Piotr Kozieradzki, non troppo appariscente ma parecchio efficace nel dettare i tempi della sezione ritmica. Un manipolo di buonissimi strumentisti ottimamente amalgamati che non eccedono o si perdono mai in virtuosismi fini a se stessi.
Nove pezzi complessivi dilatati in poco più di cinquantacinque minuti di musica, senza cali di stile ma a dirla tutta nemmeno senza grandissimi picchi, il sismografo stavolta non registra grossi sbalzi, per farla breve, a differenza dei due lavori precedenti non c'è quel pezzo superlativo alla "Loose Heart", "Second Life Syndrome", "Conceiving You" o "Out of Myself" che ti fa esclamare wow (o whoa, o minchia, fate un po' voi). Però, se avete apprezzato quanto fatto in passato dalla band di Varsavia, anche quanto ascolterete qua sopra non mancherà di donarvi più di qualche soddisfazione.
La palma del pezzo più interessate, in quanto differente rispetto a quello finora prodotto (anche se il trademark rimane pur sempre perfettamente riscontrabile), spetta a "02 Panic Room", non a caso scelto come singolo di lancio, cadenzato e dall'incedere misticheggiante dove protagoniste assolute sono le tastiere e i synth di Lapaj, oltre a un refrain azzeccatissimo di quelli che si ti insidiano immediatamente in mezzo alle giunzioni sinaptiche, fino a chiudere in calando tramutandosi in una malinconica ballata pianistica dove l'emotività delle fragili corde vocali di Duda prendono il sopravvento. In un qual modo, anticipa lo stile compositivo del successivo "Anno Domini High Definition" uscito due anni più tardi, dove la band farà maggior ricorso all'utilizzo di elettronica e a soluzioni ritmiche più quadrate.
La precedono l'opener "Beyond the Eyelids", connubion metallico – psichedelico contraddistinto da svariati cambi di tempo e d'atmosfera, e la stravagante e meno complessa "Rainbow Box", che ben si sposerebbe con lo stile dei Porcupine Tree dell'epoca "Stupid Dream" – "In Absentia". Nella tribaleggiante mistica "Schizophrenic Prayer" si sentono invece echi dei Pain of Salvation di pezzi come "Chain Sling" o "Imago", ma siamo pur sempre molto ma molto lontani dal plagio, chiamiamolo semplicemente citazionismo, i Riverside sono come una spugna nell'assorbire le influenze varie, e sono abili nel rielaborarle alla loro maniera.
Sono melodie suadenti e ipnotiche quelle che avvolgono la seguente "Parasomnia", pezzo psichedelicamente spaziale in cui si viene ammaliati dalla voce di Duda supportata da una moltitudine di linee vocali sovraincise e accavallate l'una sull'altra. La segue a ruota "Through the Other Side", soffusa, minimale e confortevolmente sedante, così come è serafica la seguente acustica "Embryonic", dove Grudzinski sul finale si lascia andare a un assolo spudoratamente pinkfloydiano. Torniamo su binari più prettamente prog con Cybernetic Pillow, composizione dal gusto orientaleggiante dove gli inserti elettronici, tastieristici e chitarristici si intersecano fra loro. E giungiamo al capitolo conclusivo dell'album e della triologia, i tom battenti introducono "Ultimate Trip", un ultimo viaggio di oltre tredici minuti all'interno della propria psiche sospesi fra la terza e la quarta dimensione, laddove i frammenti di specchi rotti riflettono differenti lati e facciate dell'animo umano. Psichedelia e progressione. In pieno stile Riverside.
Se si trattasse di un film, diremmo che il finale è decisamente apprezzabile ma abbastanza prevedibile, esattamente ciò che ci aspettavamo, ma è la giusta conclusione di quanto cominciato fin dal primo capitolo e la degna chiusura del cerchio narrativo. E lo stesso vale anche per "Rapid Eye Movement" e i Riverside.
- Supergiovane
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