24 Gennaio 2012, il mercato discografico accoglie Resolution, sesto (settimo se contiamo anche l’esordio Burn the Priest sotto quest’altro monicker) studio album pubblicato dai Lamb of God, alfieri della New Wave of American Heavy Metal che ha caratterizzato gli anni duemila. Un disco solido e compatto che ha tutt’altro che scontentato la fanbase della band.
(disco completo: https://tinyurl.com/3whrydms)
Reduci dal successo dell’ottimo "Wrath" pubblicato dopo l’altalenante "Sacrament", il gruppo originario della Virginia non sposta di un millimetro la propria traettoria stilistica, proponendo il proprio caratteristico metal ad altissimo coefficiente di groove debitore del post/thrash anni 90 portato alla ribalta da gruppi quali Pantera e affini, non disdegnando bordate di matrice hardcore.
Fin dai primi battenti la band non risparmia i propri colpi migliori, e piazza in apertura la doppietta formata dalla carica esplosiva di Ghost Walking (pezzo scelto come singolo di lancio dell’album, in cui il groovometro rischia seriamente l’implosione) e della devastante Desolation.
Il resto dell’album, per quanto godibile possa risultare, risulta meno ispirato, e talvolta si viene sopraffatti da una sensazione di deja-vu con ritmiche già sentite e riff riciclati dal loro campionario. Tutto già sentito e provato, ma resta doveroso sottolineare quanto risulti soddisfacente e matura la performance dell’intera band all’unisono riproponendo l’attenzione ai dettagli che hanno contribuito a marchiare ogni pezzo con il proprio trademark di fabbrica, partendo dall’inconfondibile ugola di Randy Blythe fino ad arrivare al caratteristico “campanaccio da mucca” (il ride customizzato da 24 pollici) del drummer Chris Adler che scandisce le ritmiche.
Nel complesso, Resolution risulta un buon lavoro prodotto da ottimi mestieranti. Possiamo comunque segnalare altri episodi estremamente positivi presenti all’interno del disco, fra cui svettano The Undertow e The Number Six, quest’ultima più anomala rispetto agli standard del gruppo, dove vengono brevemente sperimentate soluzioni e break simil-mathcore alla maniera dei Dillinger Escape Plan.
Il compito di chiudere l’album spetta a King Me, pezzo di pregiata fattura assolutamente degno d’interesse, in cui per la prima volta nella carriera del gruppo possiamo osservare incursioni sinfoniche con tanto di backing vocals femminili.
Un disco solido e compatto che ha tutt’altro che scontentato la fanbase della band.
- Prog Fox
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