giovedì 18 novembre 2021

U2: "Achtung Baby" (1991)

Usciva trent'anni fa oggi uno dei dischi più importanti degli anni novanta, "Acthung Baby" degli U2, assieme a "Joshua Tree" universalmente riconosciuto come il loro punto di massimo. Un disco sospeso fra passato e presente, fra il rock da stadio degli anni '80 e il futuro, compromesso indispensabile, nel momento in cui fa proseliti la purezza grunge, per tenere il rock ancorato all'elettronica, con un piccolo aiuto da Berlino, da Brian Eno e Daniel Lanois.



(disco completo: https://tinyurl.com/ppnk8mww)

RECENSIONE DOPPIA: RAGIONE E SENTIMENTO -->

PARTE 1: RAGIONE

“Is it getting better? Or do you feel the same?” canta Bono Vox, all’inizio dell’arcinota "One"; cerchiamo di immaginacelo mentre vestito come The Fly (occhialoni a mosca e sorriso satanico) tira giù un povero Joshua Tree con una sega elettrica che ricorda la chitarra imbizzarrita di The Edge.

Questa è l’immagine fondamentale che ogni fan degli U2 deve avere in mente quando ascolta “Achtung Baby”, settimo album in studio della band irlandese: spartiacque generazionale, disco fondamentale, diavolo e acqua santa insieme, pietra di scandalo e “spada rock portata per dividere” dai cattolici U2 in mezzo alla confusa scena rock dei primi anni ’90.

Circa quattro anni dopo “The Joshua Tree”, album che li ha catapultati dall’Europa al mondo, dopo tour mondiali che hanno celebrato la verve inconfondibile di una band nata come portabandiera di una “new wave” anglo-irlandese, tra Donovan e post-punk, i Nostri compiono l’atto biblico sacrificale della loro stessa poetica sui palchi di tutto il mondo, in un turbinio di sperimentalismo blues e jazz (“Angel of Harlem”, “When Love Comes to Town”, con BB King). L’inizio dell’ultimo decennio del millennio li vede quindi protagonisti del più grande cambio di rotta dopo la conversione elettrica di Bob Dylan con “Bringing It All Back Home”.

“Achtung Baby” è un grande manifesto rock, glorioso trait d'union tra i concerti colossali degli anni ’80, fatti per stupire e divertire, unito grandiosamente a quel disimpegno ante litteram che ci colpirà solo dopo la prima metà del decennio, una volta smaltita tutta l’eroina del grunge e dopo l’ultima zampata del garage punk in liquidazione coatta. Anticipatore nobile, non tanto per testi o sonorità ma per occasione e produzione, di quelle sordide canzoni distillate in autoclavi finto-rock che ci rimarranno attaccate come zecche fino ai primi anni duemila; il disco ci da l’idea che si possa fare, si possa osare e si possa produrre musica mentre il gruppo vive quasi perennemente in tour, passando tra un impegno personale e un altro.

Il disco nasce a Berlino, nella capitale europea per antonomasia, luogo sublime della Kulturkampf di Bowie e Iggy Pop, usata da loro come refugium peccatorum per tentare di dare un taglio alle droghe; sembra proprio che in quegli studios ancora aleggi una aura ispiratrice per gli U2, che sfornano un disco di soli numeri 1. One appunto, la Yesterday degli U2, sublime ballata che pare aliena in questa cavalcata elettrica, ma che invece da il tempo e la melodia per godere appieno della fragranza per nulla invecchiata dell’intero album. Ma partendo dalla prima traccia, “Zoo Station”, veniamo introdotti al senso globale del disco: trollati con il rumore di disco rotto, anticipando le ire funeste dei fan più conservatori. “Even Better Than The Real Thing”, trash rock puro, distillato di subcultura nobilitato da uno dei più bei riff di The Edge, chimico e malsano. “Until the End of the World”, già nella colonna sonora dell’omonimo film di Wim Wenders, ci conduce con delicatezza in un territorio religioso tanto caro ai Nostri, immaginando una conversazione tra Giuda e Gesù.

Citiamo per completezza anche le sublimi “The Fly”, da cui Bono Vox creerà il suo personaggio da palco nei successivi anni e “Mysterious Ways”, sempre religione che nel rock diviene pura affermazione di virtù più prosaiche e carnali.

Il disco in sostanza è davvero una gemma rara, rappresenta la capacità degli U2 di modificare se stessi e allo stesso modo diventare capiscuola di un movimento Rock che condizionerà poi gli anni a venire. Nascere world music e poi diventare rock star è una capacità che pochi hanno (per favore Maneskin lévateve) e gli U2 hanno descritto una parabola perfetta coi loro primi 8 album, per poi – ahimè – diventare essi stessi un prodotto che ripete se stesso, alimentati da meccaniche commerciali che trascendono dalla libertà creativa e dall’indipendenza artistica. Forse più adatti ad una playlist in shuffle sul vostro iPad, piuttosto che ai palchi infuocati di uno Zoo TV Tour. Ma anche in questo hanno fatto, inesorabilmente, scuola.

- Agent Smith



PARTE 2: SENTIMENTO

Sister, brothers: attenzione, ragazzi. Ascoltate.
Ecco a voi il racconto del vero e del falso, anzi: di quello che pensate sia vero e di quello che volete sia falso.
Ecco il racconto del silenzio e del rumore, del vecchio reinventato a nuovo e del nuovo che sa di vecchio.
Ecco il gargantua che per vivere ingloba tutto, che afferma e nega, che ci commuove e che ci schernisce.

Il rumore della città, un riff rumoroso e ovattato, una voce camuffata e distorta.
Si apre "Achtung Baby" (U2, 1991) e siamo a Berlino, siamo nel centro dell'Europa, siamo ovunque nel mondo.
Il deserto, l'albero di Joshua, gli sguardi quasi timidi: nulla di questo esiste più. Ora vive la plastica, si incarna la pelle indossata, ci sono gli occhiali a coprire il volto e l'anima.

E' tempo di trasformazione: come ci sono stati Ziggy, come c'è stata la Sgt Pepper's band adesso è il tempo della Mosca.
Una mosca che si ciba di tutto: ama la spazzatura e ama l'amore, ama la televisione - droga delle nazioni - e ama il cinema.

Un disco fatto da 11 singoli, 11 brani praticamente perfetti: ecco su cosa si posa il volo dell'insetto. Si apre con "Zoo Station", i nuovi U2 si presentano subito: il tempo è un treno che trasforma il passato in futuro, il presente è confuso, siamo già preda dell'insensatezza delle parole della Mosca e dei suoi gas esilaranti. Segue "Even Better Than The Real Thing": un brano che prende la materia musicale e le rimodula in un loop avvolgente, un pezzo nuovo con un'anima già vissuta, ma mai così viva e allucinata.
Con "One" il volo dell'insetto si ferma e plana sul cuore: riappare Bono, ricompaiono gli U2. "One" parla di divisioni, di distanze, di singoli e di collettività. IL brano diventa immediatamente il punto cardinale di riferimento, il centro emotivo di un disco che parla proprio di identità e di perdita dei riferimenti.

In "Achtung Baby", per inciso, Bono dà fondo (probabilmente per l'ultima ed estrema volta) alle sue capacità di scrittura, i testi sono quanto mai incisivi e centrati.
Del resto l'intero progetto, che culmina nell'esperienza dello ZOO TV tour, farà grande uso della parola, delle frasi: frasi decontestualizzate, rese puri slogan in una parodia convulsa e frenetica dei mezzi di comunicazione. In questo momento - e forse solo in questo momento - gli U2 saranno davvero sinceri artefici del proprio destino e seriamente in grado di rispedire al mittente, rimasticato e rivisto, il suo vuoto.
Poi, ovviamente, il sistema dileggiato si prenderà le proprie rivincite e la alternativa diventerà stanco e sterile stupore (ma neanche tanto) di borghese.
Ma questa è storia futura: il presente del 1991 è fatto da "Until The End Of The World", gemella di "Even Better.." nella dilatazione del riff e nel rinnovare - conservandola - la cifra più puramente rock dei nostri. Negli intenti, e nei risultati, il brano risulta essere di respiro davvero immaginifico e cinematografico, splendidamente disilluso e decadente ("In my dream i was drowning my sorrows/ but my sorrows the learn to swim").

"So Cruel"/"Who's gonna ride.." sono momenti più consueti e forse meno dirompenti rispetto al resto delle tracce, ma restano comunque affascinanti e - soprattutto in "So Cruel" - ci regalano la voce di Bono al massimo delle capacità interpretative.

"The Fly" è il frullatore da cui tutto nasce: la "fat lady" canta in coppia con la Mosca, qui dichiaratamente presente e pulsante in prima persona.
Cantano di menzogne e segreti, di gloriosi fallimenti, di inutili illusioni e di rimorsi ("there's a lot of things / if i could i'd rearrange"): la chitarra di The Edge è sovraincisa e elettricamente barocca, la sezione ritmica mai così in evidenza e pulsante. Quel riff è lo stato dell'arte del rock, popular rock, del decennio a venire: nasce dai sobborghi di Dublino, viene plasmato dai pedali di Dylan e di Hendrix e finisce per essere messo su tela dai colori di Bowie a Berlino.

"Mysterious Ways" riesce nell'impresa di rendere perfino la Mosca sensuale e tentatrice: va tutto bene, tutto è a posto, scappa da quello che non sai, ogni cosa ha un prezzo e tu puoi pagarlo. Se ci credi.

"Trying to throw your arms.." è pura celebrazione pop: pezzo che esplode nella dimensione live, con una chitarra dolcissima ad accompagnare una vera e propria sbronza di amore, universale, carnale, fisico, tenero

La sequenza finale è una teoria di gemme: "Ultraviolet" (eseguita dal vivo solo nel tour del 2010) ha in apertura forse una delle migliori progessioni di chitarra del repertorio di The Edge e racconta, ancora una volta, di fragilità, di amori interrotti, della necessità di essere guida uno per l'altro (ancora una volta: one, but not the same)
"Acrobat" è un altro capolavoro - altro regalo per la chitarra di The Edge - ed è forse la canzone più politica del disco. Bono dice "i'd join the movement, if there was one i could believe in /Yeah I'd break bread and wine If there was a church I could receive in" e riaffiorano - disincantati e distrutti - gli ideali in cui non credere ormai più ("No new ideas in the house and every book has been read").
Si chiude con "Love is Blindness" ed ormai la Mosca ha calato il velo, si finalmente tolta la maschera del cinismo: quello che resta è solo un frammento di notte, in cui avvolgersi per non restare soli.

"For love or Money?". Questo alla fine il solito quesito: la Mosca è sincera nel suo essere bugiarda, davvero romantica nel suo cinismo? E' veramente crudele, sensuale e disillusa?
O è invece solo un'inganno, una dolce pillola che è lo stesso nemico a somministrarci per spingere la menzogna più in là?

Ma, brothers, Sisters: attenzione, ascoltate.
Forse è solo davvero inutile chiederselo, è inutile chiedere alla Mosca stessa di dirci cosa la Mosca è.
Non può dircelo, non ha senso domandarlo.
Tutto quello che sa, lo ha ammesso lei stessa, è sbagliato.

- il Compagno Folagra

Nessun commento:

Posta un commento

ARTISTI IN ORDINE ALFABETICO:   #  --  A  --  B  --  C  --  D  --  E  --  F  --  G  --  H  --  I  --  J  --  K  --  L  --  M  --  N  --  ...