venerdì 19 novembre 2021

Mott the Hoople: "Brain Capers" (1971)

Il 19 novembre di cinquant'anni fa usciva "Brain Capers", quarto album dei rocker inglesi Mott the Hoople. Il disco, testimonianza di una crescente disillusione del gruppo nei confronti del business musicale, è valido come sempre per questi alfieri di un rock'n'roll duro e intelligente, ma continuò la discesa nell'insuccesso del gruppo guidato dal cantante-chitarrista Ian Hunter. L'insuccesso commerciale e l'indifferenza della critica portano gli Hoople prossimi allo scioglimento. Li salverà l'amico David Bowie. Ma questa è un'altra storia.



(album completo qui: https://tinyurl.com/h27uzykw

Dopo un paio di dischi promettenti ma prive di successo commerciale, i Mott the Hoople vivono una fase di stallo: incapaci di sollevarsi con il terzo album "Wildlife" dalle posizioni più basse delle classifiche britanniche, non riescono nemmeno a entrare in quelle americane. "Brain Capers" viene inciso in una atmosfera pessimistica: il gruppo vuole autoprodursi, ma scontento dei risultati richiama il vecchio amico e produttore, l'eccentrico Guy Stevens, e ricomincia tutto il lavoro da capo. L'album viene dedicato a James Dean, personaggio ammirato per i sogni ribelli da questi sanguigni rocker inglesi con Dylan e Steppenwolf nel cuore.

Il disco inizia con un rock'n'roll energico ma abbastanza stolido, "Death may be your Santa Claus", che serve soprattutto come riscaldamento per le chitarre di Ian Hunter e Mick Ralphs. Il disco prosegue in sordina anche con la successiva cover, "Your own backyard" di Dion DiMucci, mentre risultati assai migliori li fornisce "Darkness Darkness" degli Youngbloods, una ballata grintosa che si presta bene alle sonorità del gruppo.

"The Journey", scritta da Ian Hunter, rappresenta il centro focale del disco, nove minuti di rock intenso e sofferto nel classico stile del cantante, di notevole impatto anche se forse un po' troppo nella scia di quanto già sperimentato nei dischi precedenti. Il che è poi il problema dell'album: il gruppo ha un suo stile, ha i propri punti di forza, ma le difficoltà quotidiane e gli insuccessi si traducono in un approccio un po' conservativo, dal quale trapela forse la paura di cambiare per affermarsi - una forma quasi simmetrica di problema rispetto a quello di chi ha paura di cambiare per non perdere il proprio successo. "Sweet Angeline", in tal senso, è tipica nelle sue ascendenze dylaniane, assolutamente gustosa ma già sentita.

Molto buona è certamente "Second Love", a firma del tastierista Verden Allen, che vede in primo piano pianoforte e organo e prosegue nella scia dei brani catartici dalle influenze soul, integrate da un inusuale arrangiamento di fiati dal sapore quasi latinoamericano. "The Moon Upstairs" conclude il disco con un altro rock'n'roll influenzato da Stones e Steppenwolf, in cui spicca l'anomala figura ritmica tessuta dal bassista Pete 'Overend' Watts e dal batterista Dale 'Buffin' Griffin.

"Brain Capers" si caratterizza per le peggiori vendite della storia del complesso - ingiustamente snobbato, sebbene non sia certamente il migliore fra i dischi dei Mott the Hoople, segue in proporzione le ingiuste vendite dei dischi precedenti. Magre vendite, un tour tedesco pieno di problemi, un tour cancellato: gli Hoople decidono di sciogliersi, ma quando Pete Watts lo dice all'amico David Bowie, questo si impegna a scrivere per loro un successo da classifica e a produrre il loro nuovo album. Faranno un ultimo tentativo di trovare il successo con "All the young dudes".

- Prog Fox

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