giovedì 11 novembre 2021

Fabrizio De André: "Non al denaro non all'amore né al cielo" (1971)

Usciva cinquant'anni fa oggi "Non all'amore non al denaro né al cielo", una delle più belle opere della canzone d'autore italiana. Album del cantautore genovese Fabrizio de Andrè, rappresenta la libera traduzione e messa in musica di una selezione di poesie dalla "Antologia di Spoon River", capolavoro della letteratura americana di Edgar Lee Masters. Musicato con Nicola Piovani, mescola canzone d'autore e popolare italiana, folk rock americano e influenze morriconiane in un risultato fra i più alti del secondo dopoguerra.



(disco completo qui: https://tinyurl.com/4ys257uc)

Nel 1970, Fabrizio De André inizia a lavorare a un insieme di canzoni ispirate dalla "Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters, capolavoro della poesia americana del 1915. De André lo scopre nella traduzione effettuata nel 1943 da una Fernanda Pivano adolescente; De André si emoziona nel leggerne il formato, quello dell'autobiografia in versi di un gran numero di morti del paese di Spoon River, che si raccontano dal cimitero sulla collina del paese; pensa inizialmente di girare le canzoni così realizzate a qualche collega, magari come aveva fatto lavorando con i New Trolls a "Senza orario, senza bandiera" nel 1968. Finisce poi invece per inciderle lui.

Pensa di lavorare al disco con il vecchio collaboratore Gian Piero Reverberi, col quale ha già inciso i suoi precedenti quattro album. Ma Reverberi e il produttore di De André, Roberto Danè, hanno litigato, e quindi si decide di ripiegare sul venticinquenne pianista romano Nicola Piovani, diplomato al conservatorio di Milano. De André seleziona e modifica liberamente le traduzioni di Pivano con l'aiuto di Giuseppe Bentivoglio e le mette in musica con Piovani, che ne cura anche gli arrangiamenti e l'orchestrazione.

A lavorare sul disco, De André chiama diversi collaboratori di Ennio Morricone, delle cui musiche è ammiratore e che aveva influenzato anche "Tutti morimmo a stento" e "la buona novella": la cantante Edda Dell'Orso, il violinista e violista Dino Asciolla, i chitarristi Bruno Battisti D'Amario e Silvano Chimenti, il flautista Nicola Samale, Italo Cammarota all'arghilofono. Oltre a loro, il bassista Maurizio Majorana, i violoncellisti classici Massimo Amfiteatrof e Giuseppe Selmi, il batterista Enzo Restuccia, e Vittorio De Scalzi dei New Trolls.

"La collina", proprio come nell'Antologia, apre il disco introducendo il cimitero del paese e le tante persone che lo abitano, subito affascinandoci con le loro storie incredibilmente umane e vicine alle nostre. La rassegna di personaggi scelta da De André è indimenticabile: il nano che dopo una giovinezza di abusi si vendica dei suoi concittadini, divenendo giudice e così elevandosi sopra di loro - una delle canzoni più fraintese della musica italiana (tanto che viene usata per prendere in giro le persone basse, una idea che farebbe inorridire il cantautore); il blasfemo che viene ucciso a forza di botte da dei poliziotti bigotti; il malato di cuore che muore mentre per la prima volta fa l'amore con una donna; il medico idealista che, ridotto in miseria perché i suoi pazienti poveri non possono pagarlo, diventa un truffatore spacciando elisir miracolosi; il chimico che rifiuta le relazioni sentimentali perché, da scienziato, non tollera la loro aleatorietà e imprevedibilità, e poi muore nell'esplosione causata da un errore in un esperimento; l'ottico annoiato dalla propria professione che inventa lenti speciali per far viaggiare i propri pazienti in un mondo psichedelico. "Il suonatore Jones" conclude il disco con la storia del personaggio in cui si immedesima il cantautore, innamorato della vita e del vino, che non ha mai rivolto un pensiero 'all'amore, non al denaro né al cielo'.

Musicalmente De André realizza un disco vario, in cui emergono le ormai abituali influenze morriconiane ("la collina", "Un malato di cuore", "Il suonatore Jones"), quelle degli chansonnier francesi ("Un giudice", "Un medico"), il folk rock americano ("Un matto"; "Un chimico", una delle più poetiche e commoventi canzoni del secondo dopoguerra, degna delle opere più riuscite della Band o del Bob Dylan anni settanta, resa perfetta dagli interventi di Edda dell'Orso) e quello britannico ("Un blasfemo", musicalmente basata su un arrangiamento di Shirley Collins di una vecchia ballata inglese), la psichedelia & il progressive ("Un ottico").

Il livello dell'opera così realizzata è altissimo, sia per il valore poetico che per la musicalità degli arrangiamenti. Probabilmente si tratta del disco di De André più lirico, che riprende ed eleva le tematiche umanitarie di "Tutti morimmo a stento" abbandonando i bassifondi dell'umanità per riscoprire la sofferenza collettiva delle persone comuni.

Passato dall'esperienza cristiana di "la buona novella", De André non è più il giovane provocatore autocompiaciuto, degenerato figlio di famiglia ricca, che scruta la società borghese da una posizione di contestazione, ma è l'uomo maturo che capisce e canta la bellezza e la tragedia della vita di ogni essere umano, comprendendo che non c'è distinzione fra il drogato e il giudice, fra il matto e il pizzicagnolo, fra il blasfemo e il medico.

- Prog Fox

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