sabato 27 novembre 2021

Alice Cooper: "Killer" (1971)

Usciva il 27 novembre di cinquant'anni fa "Killer", quarto strepitoso album degli Alice Cooper (all'epoca ancora un gruppo vero e proprio e non solo l'alter ego del cantante Vincent Fourier). La poetica necrofila e pseudonichilista del gruppo, in realtà autoironica e parodistica, raggiunge qui il suo compimento e la sua maturità, proiettandoci in un mondo oscuro e affascinante al confine fra heavy metal e glam rock che inventa lo shock rock.



(disco completo: https://tinyurl.com/2p8htncy)

Avendo finalmente assaporato il successo con il loro terzo album "Love it to death", nel quale abbandonavano i momenti più sperimentali e psichedelici in favore di un hard rock brillante corredato di tracce improntate a un sarcastico, orrorifico shock rock, di cui sono tra i promotori e i primi maestri, gli Alice Cooper entrano in studio con il produttore Bob Ezrin per realizzare forse il proprio capolavoro.

Le otto tracce di "Killer" vedono tutti e cinque i musicisti del gruppo fra gli autori, in un reale sforzo collaborativo raro nel rock'n'roll, cosa che li accomuna ai loro 'cugini' newyorkesi Blue Oyster Cult: il cantante Vincent Fournier alias Alice Cooper firma cinque dei brani, i chitarristi Michael Bruce e Glen Buxton rispettivamente otto e due, il bassista Dennis Dunaway quattro e il batterista Neal Smith due. Il produttore Bob Ezrin viene accreditato come co-autore di "Under my wheels" e "You drive me nervous". L'amico Rick Derringer, chitarrista della Edgar Winter Band, partecipa con la sua sei corde a "Under my wheels" e "Yeah yeah yeah".

È proprio "Under my wheels" ad aprire il disco con un sensazionale esempio di hard rock americano, spregiudicato e musicalmente imprevedibile, tra momenti rock'n'roll, alzate di tono, fiati ubriachi e un assolo devastante. Il power pop di "Be my lover" presenta invece influenze doo woop e anni cinquanta e un interludio di chitarra tanto semplice quanto irresistibile, rispondendo colpo su colpo al glam britannico e anticipando, in ogni suo passo compreso il finale rallentato, certe idee del "Rocky Horror Picture Show".

La natura orrorifica di Alice & soci emerge invece in brani terribili come "Halo of Flies", in cui l'eclettismo e le vecchie influenze zappiane e sperimentali si traducono in suggestioni orientali, tastiere quasi progressive e una durata fuori misura, oltre otto minuti che consentono al gruppo di spaziare in ogni direzione proficuamente, con ogni strumentista capace di ricavare il proprio spazio per mettersi in mostra, anche se la parte del leone spetta al batterista Neal Smith, che sottolinea con un percussivismo quasi narrativo, quasi cinematografico, l'evolversi della canzone.

L'epica "Desperado", scritta come elegia funebre per Jim Morrison, si rivolge stavolta a temi di vita di frontiera, con più di una suggestione musicale tex mex, contrappuntata dagli arrangiamenti di archi reminiscenti compositori classici americani come Aaron Copland o Charles Ives che colorano la sezione centrale e poi non abbandonano più il pezzo fino alla fine.

L'hard rock "Yeah Yeah Yeah" vede Alice rivaleggiare in stile con voci graffianti come Roger Daltrey e Rod Stewart.

Il disco si chiude con una doppietta mostruosa, costituita da "Dead Babies" e "Killer", due brani legati fra loro per una durata complessiva di oltre dodici minuti e una delle più inquietanti suite di horror rock e shock rock di sempre: anche qui, l'interpretazione necrofila e necrofaga di Cooper, le straordinarie qualità compositive dei musicisti e la loro capacità di arrangiare in modo sempre intrigante e inatteso ogni passaggio, totalmente estraneo alla realtà di un banale hard rock strofa-ritornello-assolo, tramutano l'ascolto in una esperienza quasi tridimensionale di viaggio nella parodia gotica di un disco di glam rock, nella parodia saarcastica di un film horror.

Uno dei più grandi dischi di hard rock degli anni settanta, "Killer" è probabilmente il vertice assoluto della carriera di Alice Cooper come gruppo e anche come singolo artista.

- Prog Fox

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