mercoledì 6 ottobre 2021

Van der Graaf Generator: "Pawn Hearts" (1971)

Usciva nell'ottobre di cinquant'anni fa "Pawn Hearts", quarto album in studio e massimo capolavoro della carriera dei Van der Graaf Generator, uno dei più importanti gruppi di rock progressivo britannico. Bizzarramente, il disco fu un insuccesso in patria ma arrivò al primo posto nelle classifiche in Italia. "Pawn Hearts" è uno dei migliori album del prog anni settanta - non guasta una ospitata del padre-padrone dei King Crimson, il chitarrista Robert Fripp - e forse proprio per questo è anche considerato pomposo, eccessivo ed esageratamente melodrammatico e strabordante dai detrattori del genere, inclusi molti critici.



(disco con tracce extra qui:

Durante i tour seguiti alla pubblicazione del loro terzo album, "He to He, who am the only one", i Van der Graaf Generator (il cantante, chitarrista e principale autore Peter Hammill, il bassista-organista Hugh Banton, David Jackson a sax e flauto, Guy Evans alla batteria) iniziano a lavorare alle nuove composizioni per il loro quarto disco. Le fruttifere sedute di registrazione portano in dote materiale a sufficienza per un doppio album, ma la casa discografica Charisma li convince a pubblicare un solo LP e un singolo che contiene una cover dello strumentale "Theme One" di George Martin e una ulteriore canzone del gruppo, la malinconica "W". [Cinque tracce scartate, tra cui due versioni del singolo, si trovano nell'edizione del 2005 dell'album, da noi suggerita sopra.]

"Pawn Hearts" si compone così di un solo LP diviso in tre lunghe composizioni, due delle quali si dividono equamente la prima facciata e la terza occupa interamente la seconda. Musica e liriche sono fra le più esistenzialisticamente cupe di tutto il progressive rock anni settanta: vero che ci sono gruppi che sanno leggere il dolore dell'individuo, come gli High Tide o i Procol Harum, ma il cantante e autore dei testi Peter Hammill ha una forza visionaria e cosmica che avvicina il senso di desolazione dei Van der Graaf a quello dei personaggi di Howard Phillips Lovecraft, persi sotto la notte stellata davanti a indicibili orrori cosmici.

"Lemmings" dice già tutto ciò che si deve sapere sull'album: sax e chitarra acustica, dominante lungo l'arco di tutto il brano, piombano l'umanità in mare già dalle prime parole del disco ('I stood alone upon a high cliff...'). Gli effetti sonori e l'organo di Banton ci mostrano una scena desolata di una scogliera battuta dal vento, e l'esile tenore di Hammill inizia la sua danza fra i sentimenti, variando dal falsetto sussurrante dell'aporia del filosofo alla rabbia e alla follia dei lemming che sono gli esseri umani.

"Man-Erg", che nel titolo prosegue la scherzosa fascinazione del gruppo per temi scientifici, offre una qualche via di fuga ponendoci davanti al dualismo fra la natura divina e quella demoniaca dell'essere umano. Un pianoforte romantico lascia spazio a una grande interpretazione di Hammill, discepolo di Tim Buckley capace di convogliare la turba dei sentimenti dell'uomo, ringhiando, ululando, sussurrando e blandendo, talvolta in sintonia, talvolta in opposizione a una musica prima elegiaca e poi spigolosa e sgradevole, grazie all'ossessivo sax di Jackson e alla tempestosa verve del batterista Evans.

Sulla seconda facciata troviamo poi "A Plague of Lighthouse Keepers". Ispirata forse proprio alle "Sea Shanties" degli High Tide o alla "Whaling Stories" dei Procol Harum, racconta degli orrori cosmici o esistenziali sperimentati da un guardiano del faro, la cui vita da testimone di naufragi a un certo punto lo porta a vedere fantasmi (o sono vere navi fantasma che lo tormentano?), che lo portano progressivamente alla follia (sebbene il finale rimanga sostanzialmente aperto sulla sorte del malcapitato individuo - la pace viene ritrovata grazie al suicidio o all'illuminazione? Hammill stesso lascia l'interpretazione alla fantasia dell'ascoltatore). Divisa in molteplici movimenti, ognuno dei quali sottotitolato (per comodità del recensore?) sviluppato con cura e separatamente dagli altri pur nella sostanziale continuità, la suite è uno dei momenti più alti del progressive rock tutto.

Le liriche e il demo iniziale della canzone sono scritti da Hammill, ma il resto del gruppo aggiunge sezioni strumentali fino a raddoppiarne di fatto la lunghezza. Introdotta da una lenta, cupa sezione neoromantica ("Eyewitness"/"Pictures/Lighthouse"/"Eyewitness"), il brano accelera sui tempi medi verso i sei minuti, quando emerge l'epos degno del titanismo alfieriano del guardiano del faro immerso in una realtà maledetta enfatizzata dall'organo di Banton ("S.H.M."). Si alternano ancora cambi di tempo e di ritmo, da lentezza letargica a temporale, spesso in una stessa sezione ("Presence of the Night"), in modo da dare continuamente l'idea della lotta del guardiano del faro contro gli elementi nella notte - il temporale, la tempesta che si posa ("(Custard's) Last Stand"), il mare ora calmo ora dalle onde tumultuose ("The Clot Thickens", uno dei momenti più violenti e orrorifici), fino all'epico finale innodico ("Land's End (Sineline)"/"We go now"), elevazione che segnala la pace anche grazie al solo di chitarra di Robert Fripp, amico del gruppo e gradito ospite dopo la sua partecipazione anche al disco precedente.

Disco culmine della straziata visionarietà di Peter Hammill e della sua consorteria di musicisti esistenzialisti, "Pawn Hearts" rappresenta uno degli album più fraintesi del progressive rock. Se la verbosità di Hammill e gli orrori di Lovecraft non vi appaiono ridicoli, questo capolavoro è decisamente un disco da non ascoltare da soli di notte durante un temporale. Soprattutto se vivete vicino al mare.

- Prog Fox "Eyewitness" (2:25) "Pictures/Lighthouse" (Hammill, Banton) (3:10) "Eyewitness" (0:54) "S.H.M." (1:57) "Presence of the Night" (3:51) "Kosmos Tours" (Evans) (1:17) "(Custard's) Last Stand" (2:48) "The Clot Thickens" (Hammill, Banton, Evans, Jackson) (2:51) "Land's End (Sineline)" (Jackson) (2:01) "We Go Now" (Jackson, Banton) (1:51)

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