Il 17 ottobre di dieci anni fa usciva il primo disco eponimo degli High Flying Birds di Noel Gallagher. Virtualmente un disco solista, in preparazione del tour che lancia la band vera e propria, vede un ampio numero di collaboratori, fra cui l'ex tastierista degli Oasis Mike Rowe, il produttore Dave Sardy, il batterista Jeremy Stacey, le cantanti Beccy Byrne, Cherrelle Rose e Joy Rose-Thomas, Mark Neary al contrabbasso, la sezione fiati costituita da Gary Alesbrook (tromba), Trevor Mires (trombone) e Andrew Kinsman (sax), i percussionisti Luis Jardim e Lenny Castro, i chitarristi Paul Stacey e Jon Graboff.
(disco completo: https://tinyurl.com/3za68y)
Squadra che vince non si cambia. Anzi, meglio: se è la squadra a cambiare, si guarda chi resta e si cerca di vincere. In questo caso, con l’album omonimo del nuovo one-man group “Noel Gallagher's High Flying Birds”, la vittoria è assicurata. Dopo l’infame scioglimento degli Oasis nel 2009, il Nostro non si perde d’animo e nel biennio 2010-2011, in totale libertà e sciolti i vincoli artistici col rissoso fratello, incide uno dei più rappresentativi album post-Britpop. Attende paziente l’esordio dei deludenti Beady Eye di Liam, e mette a segno con il suo “Noel Gallagher's High Flying Birds” la vera attesa svolta nella lunga carriera degli Oasis, già da tempo condannati ad un lungo e penoso declino, prima ancora dello scioglimento.
I dati parlano chiaro: il disco debutta subito al primo posto della classifica britannica; raggiunge la vetta delle oltre 120.000 copie vendute in meno di una settimana; è il secondo album rock più venduto nel Regno Unito nel 2011 ed infine doppio disco di platino. A febbraio 2012 raggiungerà l’invidiabile cifra delle 600.000 copie vendute, molto distante dalle 166.000 di “Different Gear, Still Speeding”, nello stesso periodo (solo disco d’oro per il povero Liam!).
Il disco apre con un brano iconico e radicalmente diverso dal sound a cui i fan sono abituati, eco futura della degenerazione che arpionerà Noel nel decennio a venire, ma qui ancora godibile per la sapiente commistione di sperimentalismo e piedi ben ancorati nella tradizione. “Everybody's on the Run” fornisce l’overture essenziale all’album, ne anticipa suggestioni e temi, in un trionfo d’archi e cori mixati insieme.
Con “Dream On” si ritorna per un momento alle origini: il ritmo martellante e le chitarre ricordano i B-Sides della prima metà degli anni 90’, con un lieve senso di malinconia recondito che potrebbe suggerire accenni lontani provenienti da una post-moderna “She’s Electric”.
“If I Had a Gun...”, terza nell’album, rappresenta il vero capolavoro e la svolta finale di Noel. Canzone che forse non era stata pensata come veramente iconica e fondante nella nuova carriera da solista (solo terzo singolo), ma che spicca per alta qualità tra gli altri brani. Le atmosfere e le sonorità sono perfette, anche coadiuvate da un video tra i migliori della produzione Gallagher, capace di fondere musica e immagini con una forza notevole. Gustosa la partecipazione di Noel in veste di surreale officiante al matrimonio, insofferente al rito con le sue imperdibili facce straniate. Un nuovo inno che i fan hanno subito imparato ad amare nei live.
“(I Wanna Live in a Dream in My) Record Machine” e “Stop the Clocks” sono due brani realizzati in un passato di Noel, non eccessivamente remoto, ma che comunque tradiscono un’evidente origine che precede sforzi e creatività infusi per questo particolare album. Anticipano qui un’attività di riscoperta e ri-arrangiamento che il Nostro imporrà con decisione nell’album seguente, poi abbandonata dal terzo album in poi, anche per effettiva mancanza di materiale di recupero. Sono comunque brani interessanti e ben inseriti nell’economia generale dell’album.
“The Death of You and Me” potrebbe essere intitolata “The Importance of Being Idle” – Part 2, dato che Noel ritorna su sonorità in stile “The Kinks”, sperimentali e orchestrali nella sua candida esecuzione finale. Primo singolo estratto, inaugura una specie di dialogo a distanza col fratello, accusato indirettamente di aver costretto Noel alla fuga perpetua, sempre lontano da persone che potrebbero causare la sua morte (artistica, ci auguriamo).
Menzione particolare per “AKA... What a Life!”, in cui l’incalzante ritmo sottostante ci ricordano le collaborazioni discotecare in salsa “clubbing” dei primi anni 2000, insieme agli amici di sempre “Chemical Brothers”; fortunatamente il brano è qui riproposto con un sound più maturo e meno ossessivo dei primissimi esordi dietro la console.
Consiglio anche il recupero dei “riempitivi”, ma di lusso: “Soldier Boys and Jesus Freaks”, “AKA... Broken Arrow” e soprattutto “(Stranded On) The Wrong Beach”, semplici nel loro aspetto esteriore, ma poco invecchiati dopo tutti questi anni.
Noel Gallagher riesce con pazienza, determinazione, un pizzico di riciclaggio artistico, ma soprattutto una visione coerente, a centrare l’obiettivo di scrollarsi di dosso le schegge della chitarra infranta dal fratello nel lontano 2009 e confezionare un disco d’esordio da solista di grande qualità, che ancora oggi rimane un fulgido esempio di caparbia ostinazione e successo di fronte al mondo che ti cade addosso. Lezione imparata anche da Liam, tramite il boccone amaro della rovinosa caduta di ben due gruppi, Oasis e Beady Eye, anche lui arriverà ad eguagliare e perfino superare il fratello, ma solo dopo un lungo percorso catartico.
- Agente Smith
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